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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 14 - 1 Aprile 2007 | 0 commenti

Lo spinello di Oscar Wilde

Secondo uno studio condotto da alcuni tossicologi dell'università di Bristol, ed apparso sulla rivista The Lancet, la cannabis risulterebbe meno dannosa del tabacco, mentre, spostando l'attenzione sul lungo periodo, l'alcool precederebbe l'Lsd in una scala che, valutando diversi parametri, cataloga la pericolosità delle diverse sostanze stupefacenti.

Di pochi giorni fa è invece la campagna dell'Indipendent on Sunday. Il noto quotidiano britannico appartenente all'area liberal, che una decina d'anni fa aveva lanciato un'iniziativa senza precedenti per la depenalizzazione della cannabis, ha fatto pubblica ammenda scusandosi coi lettori. Il professor Colin Blakemore, a capo del Medical Research Council, che nel 1997 aveva appoggiato la campagna dell' Indipendent si è col tempo assestato su posizioni più classiche in materia di tossicodipendenze: Il legame tra la cannabis e la psicosi oggi è ben chiaro; dieci anni fa non lo era.[1].

Nell'attesa che la comunità scientifica ponga fine alla datata querelle, e si pronunci finalmente in modo univoco sulla realtà, scientifica o chimerica, dei danni a lungo termine che scaturirebbero dall'uso di cannabis e derivati, vorrei per una volta considerare, con un cambio di prospettiva, la questione da un punto di vista estetico. Abbandoniamo pertanto il moralismo imperante e le trite considerazioni etiche sui paradisi artificiali, sulla necessità di evadere e sull'istinto di trasgressione insito negli adolescenti, per considerare invece la fisionomia malaticcia del consumatore abituale. Questo, è generalmente un individuo di sesso maschile con un'età stimabile tra i sedici ed i trent'anni; la magrezza ed il pallore del viso, solitamente contornato da occhiaia pronunciate, rappresentano una sorta di contraltare concavo del ventre prominente, estrinsecazione fisica delle abbuffate che accompagnano d'appresso quella che gergalmente viene definita fame chimica. E' interessante rilevare come questa voracità, che necessariamente[2] segue il consumo di tetraidrocannabinolo, e s'indirizza indiscriminatamente ad ogni tipo di cibo, sia stata analizzata da alcuni studiosi dell'University of New England per un possibile utilizzo del principio attivo in ambito medico, ed in particolare nelle terapie a cui si sottopongono i soggetti bulimici ed anoressici. E' quindi del tutto normale e prevedibile, che un utilizzo massiccio di cannabis da parte di un soggetto sano, laddove non implichi una psicosi alimentare, non rara nelle donne, costringa per così dire, il consumatore all'ingrasso…

Chiaramente la bellezza umana non è composta unicamente da fisicità e proporzione, giova quindi tracciare un rapido schizzo della parte del corpo che maggiormente può sottendere questa determinazione indefinibile: il viso.

Se nella concezione degli antichi, gli occhi rappresentavano in una certa misura lo specchio dell'anima, in quanto poli simmetrici che conferivano ad un tempo attrazione ed espressività al visus, anche in questo frangente, il fumatore incallito dalla pupilla languida e dalla sclera oculare rossastra, manifesta in modo esteticamente percettibile un effetto collaterale del suo vizio.

Con un cambio di prospettiva soltanto apparente, è utile notare come la pigrizia, almeno dai tempi di Tommaso d'Aquino, abbia assunto nell'immaginario collettivo una forte connotazione morale, rientrando a buon diritto, col nome d'accidia, nell'elenco dei sette vizi capitali.

Nel cannabinoide, anche tralasciando deliberatamente i risvolti etici che assume l'indolenza portata al parossismo, resta innegabile come una determinazione solitamente ascrivibile alla sfera morale (la pigrizia), si manifesti sovente in modo esteticamente deteriore: il fumatore abituale, prescindendo dal contesto e dal luogo che lo ospita, dopo aver assunto la sua dose di Thc, diventa completamente refrattario a qualsivoglia attività fisica o sociale, comprese le meno faticose.

Premesso che ognuno è ovviamente, ed in maniera Kantiana, libero di fare ciò che vuole nella misura in cui non arreca danno al prossimo, consiglio comunque ai numerosi affezionati della canna, di misurarsi di tanto in tanto con lo sguardo severo ed indagatore di uno specchio… Non potendo loro disporre come Dorian Gray di un ritratto fatato su cui prendono forma i vizi, lasciando inalterata la fisionomia di chi l'incarna.


[1] La stampa Online 19/03/2007

[2] Paul Mallet, studioso dell'australiana University of New England, ha dimostrato in un recente studio apparso sulla prestigiosa rivista scientifica Neuropharmacology, come il THC interferisca con il nucleo ipotalamico paraventricolare, stimolando in modo smodato l'appetito.

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