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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 17 - 16 Maggio 2007 | 0 commenti

Nani e giganti

Bernardo di Chartres diceva che noi siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere più lontano di loro non a causa della nostra statura o dell'acutezza della nostra vista, ma perché – stando sulle loro spalle – stiamo più in alto di loro[1].

Umberto Eco, all'interno del saggio Di fronte ai classici, parte da questo aforisma, di origine medievale, per spiegare quel conflitto generazionale, che nel corso dei secoli, ha visto il contrapporsi di padri e figli. Da Edipo e Laio, a Nerone e Agrippa, passando attraverso Saturno e Medea, la storia si ripete e anche quando il conflitto parentale non è macchiato dal sangue del padre, o del figlio, il tema non cambia: querelle des anciens et des modernes.

Quel che storicamente alimentò nelle giovani generazioni il desiderio di sopraffare le vecchie, fu la convinzione di detenere un potere incommensurabile, dato dall'unione tra l'antica esperienza e la capacità di innovazione, tipica della modernità. In ogni caso, molto spesso, questi atti di riforma, e dunque di contestazione nei confronti della generazione immediatamente precedente, avvengono attraverso il ricorso ad un antenato autorevole a cui ci si ispira. Si pensi, per fare solo alcuni esempi di ambito filosofico letterario, ai poetae novi latini, che contestavano la loro tradizione culturale per rifarsi ai lirici greci, a Dante, che volta le spalle ai suoi illustri contemporanei e si rivolge a Virgilio, o ancora a Ficino che “riscopre” il vecchio Platone. Infondo questa antica abitudine non si è del tutto perduta, se ancora oggi politici rampanti dall'alto delle loro tribune elettorali, come oratori romani sul rostro, per conquistare la simpatia e la fiducia del popolo screditando gli avversari, citano le sentenze degli esimi antenati facendo sfoggio di un latino che farebbe di certo sorridere il buon Cicerone.

Dunque nani sulle spalle di giganti, che se pur si volgono indietro con sguardo nostalgico, contestano, abbattono, riformano in nome di una modernità che non può essere arrestata. Le avanguardie dei primi del '900, e ancor più il postmoderno, sono l'emblema dell'estremo parricida modernista, che pur tuttavia non può fare a meno del proprio passato.

Dall'antichità ai giorni nostri, attraverso una magistrale ricostruzione storica, Eco rileva il ricorrente bisogno di “uccidere” i nostri padri, superando i limiti da essi imposti, e scoprendo nuovi confini oltre le colonne d'Ercole. Tutto questo perlomeno, sino all'entrata in scena dei mass media, che in nome della globalizzazione, sembrano aver appiattito persino il conflitto generazionale. Infatti, perché un conflitto esista, vi è bisogno di un modello forte, e unitario, sulle fondamenta del quale instaurare un rapporto dialettico, ma nel momento in cui tale modello viene a mancare, quando vale tutto e il contrario di tutto, quando si è portati a credere che ogni limite è stato varcato, poiché ogni cosa è già stata detta e scritta, il conflitto stesso non ha più ragione d'essere. I figli vengono privati dell'istinto parricida e i padri del complesso di Saturno, in nome di una sacrale omologazione.

L'autore conclude il suo scritto chiedendosi quanto sia raccomandabile un tale appiattimento del conflitto generazionale, istinto naturale, che nei secoli, è servito da stimolo per superare chi ci ha preceduto. La risposta a voi, d'altronde “forse nell'ombra già si aggirano Giganti, che ancora ignoriamo, pronti a sedere sulle spalle di noi nani”[2].


[1] Umberto Eco, Sulle spalle dei giganti, in AA.VV., Di fronte ai classici, a cura di I. Dionigi, Milano, Bur Saggi, 2002.

[2] Ibidem.

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