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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 17 - 16 Maggio 2007 | 0 commenti

Psicanalisi dell'arte a confronto: Freud e Jung

Se in Freud l'indagine psicanalitica dell'arte è volta a chiarire il rapporto tra le peculiarità di una creazione artistica e le profonde esperienze psichiche dell'autore e, quindi, alle personali motivazioni inconsce che animano e caratterizzano le modalità stesse dell'operare dell'artista, lo stesso non si può dire per quanto riguarda l'analisi di Jung. Quest'ultima difatti muove da metodi, intenti e presupposti totalmente differenti. Jung evidenzia quello che secondo lui costituisce il metodo riduttivo di Freud e cioè la prevalenza dell'analisi biografica e, specificamente, dell'analisi biografica relativa all'infanzia. Ciò che Jung critica di Freud è il fatto che l'analisi di quest'ultimo si perda nel groviglio labirintico degli antecedenti psicologici allontanandosi dall'oggetto di studio principale che, secondo Jung, è l'opera non l'autore. Jung sottolinea chiaramente che lo scopo dello psicologo, per quanto riguarda l'opera d'arte, consiste nel tentare di cogliere il significato dell'opera. Le premesse psicologiche relative al vissuto personale dell'artista devono essere prese in considerazione dallo psicologo dell'arte solo nella misura in cui esse sono utili per capire il significato dell'opera medesima. In Jung quindi, l'analisi dell'autore è subordinata all'analisi dell'opera. In effetti in Freud assistiamo all'esatto contrario; l'elemento estetico, stilistico, il soggetto dell'opera sono letti in funzione di una psicanalisi dell'artista. Jung pone invece l'accento sull'autonomia dell'opera d'arte, sul suo essere significato, sul suo avere quindi valore intersoggettivo, sul fatto che essa, dicendo qualcosa agli uomini, supera l'ambito soggettivo del vissuto individuale dell'artista. L'opera d'arte, afferma Jung, va oltre l'individuo e nonostante abbia ovviamente caratteri personali, tali caratteri non possono valere come metro di giudizio per quello che l'opera ci comunica. In sostanza, Jung argomenta a favore della tesi secondo la quale l'arte ha un significato psicologico collettivo. Inoltre in Jung, non solo il vissuto espresso e comunicato dall'opera d'arte non si risolve nel biografico, ma anche il vissuto dell'artista medesimo durante il lavoro artistico stesso non si risolve nel biografico. Non solo l'artista veicola un messaggio che lo trascende ma la stessa motivazione che lo spinge ad esprimersi artisticamente lo trascende. Non l'inconscio individuale emerge nell'arte, o meglio non solo, ma anche e soprattutto l'inconscio collettivo. Gli studi junghiani sull'arte si sviluppano precisamente su questa linea: il fatto che egli sottolinei i significati archetipici di un'opera si inscrive precisamente all'interno di una concezione che mette a fuoco il valore intersoggettivo della creazione artistica.

A prescindere dalla critica junghiana tuttavia, la diversità dello scopo prefissosi dai due studiosi in questione sembra emergere chiaramente anche dalle parole di Freud. Il padre della psicanalisi infatti era perfettamente consapevole di non essersi posto dalla parte di chi ha come obiettivo lo studio dei significati dell'opera. Freud non smette di essere un medico. Non si occupa dell'artista in vista dell'opera ma si occupa dell'opera in vista di una psicanalisi dell'artista. L'autore è come un paziente nello studio freudiano. In jung il metodo e gli scopi sono ribaltati in modo speculare. Quest'ultimo finalizza tutto alla lettura dell'opera, in certi passi addirittura sembra subordinare tutto ad un'idea filosofico-psicologica dell'arte, ad un'idea che ci dice che cosa è l'arte.

Se Freud ha il merito di non piegare l'analisi e la ricerca psicologica di fronte al sublime espresso dall'opera d'arte, Jung invece ne enfatizza spesso una certa ineffabilità. Jung ci parla più volentieri della molteplice significazione archetipico-simbolica dell'opera d'arte in genere, piuttosto che dei risultati teorici ottenuti in seguito all'analisi di un determinato artista o di una determinata opera. Quindi se in Freud è presente, almeno in parte, un certa riduzione dell'opera al vissuto individuale, in Jung assistiamo ad una certa idealizzazione del fare artistico che sembra tradire un certo romanticismo. La teoria junghiana degli archetipi e dell'inconscio collettivo ha sicuramente un grande valore dal punto di vista dell'arte come linguaggio, come terreno comune, intersoggettivo del vissuto ma, probabilmente, cela anche una certa concezione dell'arte di tipo idealistico.

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