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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 19 - 16 Giugno 2007 | 0 commenti

Cenerentola a Milano

Stavolta Cenerentola non è stata invitata al gran ballo, ma ad una grande degustazione si. Degustazione in cui era la protagonista assoluta, unica damigella invitata.

Effettivamente il principe azzurro non s’è visto, ma non ci è rimasta assolutamente male, in quanto è stato sostituito da oltre 700 tra ristoratori ed enotecari di Milano e varie zone del Nord, più gli immancabili appassionati.

Se si considera che la cornice dell’evento era il Principe di Savoia, Hotel extra lusso da urlo e che la zucca che si sarebbe dovuta trasformare in carrozza è stata rimpiazzata dai salumi piacentini e dalla coppia ferrarese, si capisce il sorriso a 44 denti, tanti quanti i produttori presenti, da pubblicità che elargiva ai fotografi.

E che denti, tutti ben appuntiti, selezionati in base ai punteggi ottenuti dalle cinque più importanti guide Nazionale: per poter partecipare i vini dovevano aver ottenuto almeno due riconoscimenti tra 2/3 bicchieri del Gambero Rosso, i 4/5 Grappoli dell’Ais, minimo 17/20 dell’Espresso, 3 Stelle o Super 3 Stelle Veronelli, citazione nell’Annuario di Luca Maroni. In questa maniera si è riusciti ad ottenere una selezione oggettiva e non soggettiva dell'élite dei vini ER, scegliendo appositamente il doppio binario di vini dell’eccellenza e di vini con votazioni appena sotto l’eccellenza: ad esempio i quattro grappoli o i due bicchieri del Gambero rosso.

Il risultato di questo doppio binario è stato quello di sorprendere il pubblico, piacevolmente colpito dalla qualità di vini che pur ottenendo punteggi lusinghieri non rappresentano il cosiddetto gotha dell’enologia.

A rendere la manifestazione “Emilia-Romagna, le nuove frontiere dell’eccellenza” ancora più appetibile ha contribuito l’interessante presenza delle “promesse”, quasi uno per azienda, dove per promessa si intende un vino non ancora presente nelle bibbie del Dio Bacco ma comunque prodotti su cui le aziende scommettono per il futuro. Grazie a questa formula è stato possibile sia capire a che punto sia arrivata l’Emilia-Romagna enologica e quali vette ha invece intenzione di scalare per il futuro.

Degustazione preceduta da un’interessante conferenza a cui hanno partecipato Alessandro Torcoli, caporedattore di Civiltà del Bere, nelle vesti di moderatore, Pino Khail, direttore sempre di Civiltà del bere, Gian Alfonso Roda, Presidente dell’Enoteca Regionale Emilia Romagna, Luca Gardini, sommelier romagnolo che lavora del ristorante Crack di Milano e a sorpresa alcuni produttori chiamati a raccontare le loro esperienze e le loro “promesse”.

Produttori punzecchiati da Luca Gardini, il quale sottolinea come l’Emilia Romagna abbia un legame tra le sue potenzialità oltre ai sapori che la rendono famosa, anche un territorio che piace; potenzialità non sfruttate adeguatamente perché “che quando lavoravo a Firenze, all’Enoteca Pinchiorri, avevamo in lista solo un’etichetta emiliana cui se ne sono poi aggiunte altre tre…” anche se poi aggiunge “La nuova carta dei vini di Cracco, invece, che comincerò a proporre il prossimo anno, includerà ben 10 vini emiliani e altrettanti romagnoli».[1]

Forse uno dei motivi dello scarso appeal è la confusione che regna intorno ad alcune denominazioni emiliano romagnole, confusione che può generare più facilmente diffidenza che attrazione.

Le risposte dei produttori sono state varie e diametralmente opposte tra di loro, risposte che guardano sia alla ricerca assoluta della tipicità che di vini che strizzano l’occhio al mercato.

Sicuramente interessante la promessa di Ilaria Ferrucci “il Centurione, prodotto da uve Sangiovese lasciate a macerare per almeno 6 giorni e poi ripassate sulle vinacce appassite del nostro Domus Caia»[2]. Vino che non vede passaggio in legno, per mostrare nella sua più totale nudità il vitigno.

Diametralemente opposta invece la strada seguita da Drei Donà, strada caratterizzata da innovativi assemblaggi tra vitigni autoctoni e internazionali, come il Graif Noir: 30% sangiovese, 30% cabernet sauvignon, 20% burson e 20% cabernet franc.

Per concludere il giro di innovazioni da segnalare la presentazione del Brut Grasparossa di Cleto Chiarli, versione rosè spumante di un vitigno, il lambrusco, che sta cercando di risollevarsi da anni bui reinventandosi e cercando di privilegiare la qualità a discapito della dote che l’ha reso famoso, la quantità. Certo è che una bella passata di scopa su molte aziende potrebbe giovare non poco a questo spesso criticato vitigno.

A prima vista potrebbe sembrare assurdo che la tradizione sia rappresentata da un Cabernet Sauvignon, ma se si tratta del Bonzarone dei Colli Bolognesi la sorpresa deve rientrare, in quanto i colli Bolognesi sono da sempre stati caratterizzati dalla presenza di vitigni internazionali.

Il professor Lambertini comunica che continuerà a produrre come sempre, e a giudicare dal suo sorriso sornione su guance sempre di un bel colorito rossastro, c’è da credergli.



[1] N.B. Civiltà del Bere, Giugno ’07

[2] Ibidem

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