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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 21 - 16 Luglio 2007 | 0 commenti

Biomasse per le masse

No! La biomassa non e' la cacca, o almeno non solo!

Ok, per essere precisi, la cacca ha riscosso un discreto successo nella produzione di energia per via dei gas ricchi di metano sprigionati in certe condizioni di ottima digestione (esattamente lo stesso fenomeno di cui si compiace tutte le mattine almeno il 50% dell'umanità). Impavidi allevatori hanno pensato bene di ingabbiare le fragranze derivanti dagli escrementi di un centinaio di maiali alimentando così un bel motore diesel, e guarda un po', riuscendo a fare anche dei bei ninnoli! Simpatico si, ma torniamo a noi.

Le biomasse sono tutti quei materiali di origine biologica dal più o meno breve ciclo di crescita o produzione (quindi non fossili). Di fatto sono biomasse anche quelle che mangiamo ripassate in padella, con uno spicchio d'aglio e peperoncino, ma a ben vedere sono biomasse anche l'aglio e il peperoncino stessi!

Ma allora che c'entra l'energia?

Cominciamo dal principio. Qualche riflessione sul concetto di energia.

La correttezza formale vuole che “energia” sia, oltre quella elettrica, anche quella che ad esempio esce dal camino o dalla doccia calda. Se si vuole c'è anche un po' di energia nel caffé.

Energia nel senso più ampio del termine è tutto quello che si misura in Joule o calorie. C'è energia nel gasolio e nell'idrogeno, nel carbone cinese e nel legno delle foreste pluviali, nel gas naturale e nelle flatulenze di un cinghiale, nell'olio combustibile in quello per frittura, nella benzina senza piombo e nella vodka, nel lavoro sprigionato dal motore a vapore o da quello di una pedalata, nel caldo del tubo di scappamento o in una lamiera nera esposta al sole, nelle onde radio e in quelle del mare, nel vento e, naturalmente, nella luce solare.

Ma torniamo alle biomasse.

Si dice che un ciocco di acero o di pioppo ben stagionato, da 1 kg di peso, contenga un ventina di Mega Joule. Non molti davvero, ma più o meno l'energia contenuta in una bottiglietta da 0,5 di petrolio. Quindi affacciandosi dalla finestra di una casa di campagna qualcuno potrebbe pensare di aver trovato il suo profumatissimo oro nero! Non del tutto sbagliato.

Se si ha un minimo di confidenza con i sussidiari delle scuole elementari, si sa che quello stesso acero o pioppo, per riuscire a slanciarsi in alto nel cielo, ha provveduto ad assorbire l'anidride carbonica (CO2) presente nell'aria combinandola all'acqua nel formare carboidrati. Pertanto se un contadino coltivasse un campo di grano e alla fine della stagione lo incendiasse, provocherebbe si lo sbigottimento di molti, ma il bilancio annuale di CO2 assorbita e rilasciata in atmosfera sarebbe pari a zero (ciò non toglie che, dalla combustione di biomasse, di inquinanti se ne possano produrre eccome).

Conclusione: ogni forma vegetale intorno a noi è un piccolo serbatoio di carboidrati pronti a liberare energia senza nessun rimorso per l'effetto serra galoppante!

Quindi un ettaro di terreno può fornire in un anno, non più soltanto granturco, erba medica e riparo a giovani coppiette osservatrici di stelle, ma anche parecchi Joule, più o meno 500 – 1000 miliardi! Pari a circa 100 – 150 barili di petrolio (il fabbisogno totale di energia in Italia espresso in milioni di barili equivalenti di petrolio è pari a circa 1460).

Cosa si può fare delle biomasse a parte delle bellissime serate carnivore tra amici e in mancanza di un partner astrologo?

Alcuni scienziati dell'era preistorica avevano scoperto che incendiandole si riusciva a non morire di freddo. Le mogli degli stessi scienziati avevano scoperto, poi, che con queste calde lingue di fuoco si poteva cuocere la carne in modo da evitare, ai suddetti mariti, fatali indigestioni derivanti da carnivore serate tra amici a base di selvaggina cruda.

Oggi, dopo aver provveduto a svuotare le viscere della terra dai combustibili fossili, si riparte dal principio scoprendo le biomasse come combustibile e bruciandole in moderni camini alimentati a pellets.

Ma c'è di più, le biotecnologie permettono di sviluppare processi enzimatici in grado di trasformare gli zuccheri derivati da queste in decine di prodotti utili alla nostra vita moderna. Primo tra tutti l'etanolo, ottenuto attraverso la fermentazione che i nostri nonni usavano per produrre il vino da tavola o la birra. Ebbene si, il bioetanolo, potenziale sostituto della benzina, non è altro che quel 13% del contenuto di una buona bottiglia di rosso che ci rende simpatici.

Dalla spremitura dei semi delle piante oleaginose si riesce a ricavarne degli oli (ma guarda un po'), i quali, se trattati con un alcol come il metanolo, danno un combustibile che funziona molto bene nei motori diesel, e con uno slancio di fantasia viene detto: biodiesel.

Dalle biomasse solide si può nondimeno ottenere del gas combustibile attraverso appunto la gassificazione. Il suddetto gas può essere ancora trattato per produrre diesel, metanolo, idrogeno, o bruciato in una classica centrale per produrre energia elettrica.

In effetti ci troviamo ancora alla prima generazione dei processi di trasformazione delle biomasse, tendenzialmente riuscendo ad utilizzarne solo un frazione limitata e in maniera poco efficiente. La scienza e la tecnica sta pian piano cercando di fare dei progressi scoprendo nuove frontiere. Esplorando i segreti più intimi della biomassa, si scopre che dalle catene di zuccheri e composti aromatici alla base della struttura dei materiali lignocellulosici si può ricavare molto di più del semplice fuoco di un camino. L'obiettivo futuro è quindi scindere questa complessa struttura ricavandone molecole appetibili sia per l'industria dei combustibili che a quella chimica in generale.

Auspicabilmente il risultato sarebbe una competizione diretta tra biomasse e petrolio come materia prima e l'inizio di una nuova industria bio-chimica. Lo scenario odierno vede quindi da un lato la tecnologicamente affermata industria petrolchimica alimentata da un petrolio sempre più caro, dall'altro le biomasse come piattaforma chimica in attesa di processi tecnologici provati ed efficienti.

E' il momento di farsi delle domande.

Questioni di abbondanza.

Giocando un po' con i numeri è facile verificare che, per i paesi industrializzati e densamente popolati come l'Italia e tutta l'Europa occidentale, il ricorso alla produzione massiccia di biomasse potrebbe contribuire solo molto parzialmente al fabbisogno di interno di energia. Ciò non toglie che, su scala mondiale, le potenzialità in termini di disponibilità e di produzione sono davvero molto alte.

Questi presupposti portano ad intravedere per il futuro un grande problema di commercio internazionale di biomasse come materia prima, con tanto di imponenti infrastrutture, giochi di potere e strumenti politici che ne stabiliscano le regole. Qualcosa di non troppo differente dall'odierno commercio di petrolio.

Questioni di sostenibilità.

Certo le biomasse crescono dovunque in maniera piuttosto democratica, quindi i primi beneficiari di un eventuale paradigma energetico orientato su queste sarebbero proprio i paesi oggi più poveri e basati sull'agricoltura.

I rischi sono tuttavia molto alti. La competizione cibo-biomasse è un rischio reale se si pensa che, in un paese in via di sviluppo, la rendita economica di una coltivazione energetica destinata al mondo occidentale sarebbe molto più alta rispetto alla coltivazione di cibo per le popolazioni locali.

Nondimeno, in termini ambientali, la sostenibilità delle biomasse può facilmente venire meno nel momento in cui il loro sfruttamento proceda a ritmi più alti della capacità di rigenerazione. Non si fa fatica ad immaginare che una forte domanda di biomasse da parte dei paesi occidentali porterebbe alla deforestazione selvaggia in Indonesia, in Asia o in America Latina.

In questo scenario l'Unione Europea cerca di farsi promotrice di una politica che definisca e promuova le regole per l'utilizzo sostenibile della risorsa biomasse. Le intenzioni sono certamente ammirevoli, ma per adesso la discussione è ancora ad uno stato embrionale e vengono proposti strumenti di certificazione basati sulla valutazione del ciclo di produzione, lo sfruttamento del territorio e il bilancio di CO2.

Nel frattempo i paesi in via di sviluppo chiamano l'occidente per soluzioni tecnologiche innovative e accessibili, e l'occidente guarda con interesse crescente l'opportunità offerta da questa “nuova” fonte di approvvigionamento energetico. E' certo che sarà un futuro pieno di occasioni, ma anche di contraddizioni e di rischi.

Quale sarà il destino delle biomasse italiane? Certamente quello che saremo in grado di immaginare e perseguire. Cominceremo a disboscare o promuoveremo lo sviluppo tecnologico? Cederemo alla suggestiva e demagogica tentazione di una mezzadria energetica o cercheremo di partecipare direttamente al progetto di un futuro sostenibile? Nel primo caso si ha bisogno manodopera a basso costo, di mezzadri e politiche protezionistiche, nel secondo di alta formazione e investimenti in beni immateriali.

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