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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 21 - 16 Luglio 2007 | 0 commenti

Il tappo perfetto

Un laboratorio disordinato. Uno scienziato è perso in mezzo a tubi, anfore fumanti, provette. Tutto affaccendato si getta da una parte e l’altra della stanza.

Dal suo aspetto fisico si può intuire che da molto tempo non dorme, che non esce dalla stanza, che il mondo in questo momento è tutto dentro un piccolo, ma essenziale, oggetto.

È alla ricerca della perfezione, del oggetto che regalerebbe a lui la gloria e a molti cantinieri notti tranquille. È alla ricerca del tappo a vite di sughero, il tappo perfetto.

Mah, forse qualche scienziato pazzo che non aspetta altro che urlare “EUREKA EUREKA” dietro questa idea c’è, oppure stai a vedere che ho avuto l’idea del secolo.

Al momento è in corso un’autentica guerra, ideologica e commerciale, in merito alla chiusura del vino.

I tappi vanno divisi in tre grandi categorie: i tappi di sughero, i tappi artificiali e i tappi a vite.

Ognuna di queste categorie andrebbe suddivisa in migliaia di altre sotto categorie: tappi di sughero trattati, i tappi di plastica, i tappi erroneamente detti di silicone (in verità si trova solo in superficie e in minima parte nella mescola).

Ognuna di queste tipologie ha pregi e difetti.

Piuttosto che indicare quale sia il tappo migliore, ha senso analizzare le caratteristiche di un vino, intuirne lo sviluppo e di conseguenza scegliere la chiusura che più gli si addice, tenendo come unico criterio quello che la funzione del tappo sia di consegnarci il vino nelle condizioni migliori.[1]

Il tappo a vite non consente alcuno scambio tra l’interno della bottiglia e l’esterno, da molti considerato lo scambio ideale.

Il tappo di silicone consente il passaggio di poche particelle tra vino e esterno, non ha bisogno di oli per essere inserito, ma ha vita piuttosto breve.

Anche con il tappo di sughero avvengono pochi scambi, forse la quantità perfetta secondo molti, ha una resistenza notevole ma a suo discapito quando attaccato da un fungo, rilascia nel vino quel sgradevole aroma chiamato appunto di tappo.

Senza tirare in ballo questioni ambientali, che vedono l’industria del sughero quella con il miglior impatto in quanto rinnovabile, perché le piante sono fondamentali per gli ecosistemi (nutrimento per gli animali e in alcune zone nordafricane l’unica efficace barriera alla desertificazione) e mille altri motivi, il tappo a vite sembrerebbe fornire le prestazioni migliori.

Parrebbe, in quanto la maggior parte dei vini necessitano di un, seppur piccolo, scambio con l’atmosfera esterna, pena quella sgradevole sensazione di ridotto (gomma bruciata, uova marce in primis)

Si può affermare che i tappi a vite siano i tappi ideali per quei vini figli di un processo produttivo che modifichi completamente un vino di da renderlo resistente alla chiusura anaerobica, di quei processi che portano in tavola vini senz’anima, l’esatto opposto del terroir.

Per farla in breve, sono ottimi per i vini australiani.

I tappi di sughero sono senza ombra di dubbio i migliori per i vini a lungo invecchiamento, pur tenendo conto che in ogni lotto alcune bottiglie andranno perse a causa di tappi difettosi.

L’industria del sughero ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, consentendo di migliorare le prestazioni e di ridurre la percentuale di bottiglie rovinate.

I tappi di silicone possono a mio avviso ricoprire un importante ruolo per i vini giovani, per quelli che non devono o non possono invecchiare; hanno infatti prestazioni simili ai tappi di sughero ma presentando un minor costo.

Non vanno assolutamente considerati per i vini che necessitano di lungo invecchiamento: tendono a perdere elasticità col passar del tempo, causando un eccessivo passaggio d’aria tra vino e atmosfera esterna, scambio che porta alla cosiddetta ossidazione, ergo precoce invecchiamento del vino.



[1] Slow Food Giugno, Paul White pag. 164

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