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Scritto da nel Il Mondo nel Pallone, Numero 22 - 1 Agosto 2007 | 0 commenti

Capitolo 4 – And so, what? (parte sesta)

Torniamo al 1986.
Quest'anno sarà ricordato per sempre come l'anno in cui il Re riceve la Corona che gli viene offerta dalla Mano de Dio in persona: Diego Maradona sconfigge gli inglesi. L'invasione delle isole Malvinas è vendicata dalla Giustizia Divina che prende le forme del più bel gol che la storia del calcio ricordi.
Si festeggia anche in Italia, Napoli è l'epicentro della più festosa eruzione che la terra del Vesuvio abbia mai vissuto. Il Napoli dei sudamericani e di Diego scuce dalle maglie bianconere lo scudetto tricolore per donarlo alla città partenopea.
Ma la lotta tra Nord e Sud non si fermerà: il Milan è quello delle Stelle, l'Inter dei Record. Dopo due anni di permanenza a Milano lo scudetto verrà riconquistato, un mese prima dei Mondiali, dal Napoli di Diego. E siamo di nuovo all'Estate del 1990, mentre la nostra preoccupazione dovrebbe essere la promozione in quinta elementare.

Possiamo ricominciare dall'inizio.

Autunno 1917.
Nel bel mezzo della Grande Guerra in Russia scoppia la Rivoluzione. Viene preso il Palazzo d'Inverno e, addirittura, cambia persino il calendario. Lenin è il capo ed ora il marxismo potrà diventare realtà: finisce la Guerra, cade il regime dello Zar ed il Paradiso scenderà in Terra. Per le masse popolari e lavoratrici di tutto il mondo pare scoccata l'ora della riscossa. Il mondo non è più lo stesso di prima.
Autunno 1929.
Venerdi mattina a New York nasce il futuro Re della nostra storia.
Alla Borsa di Wall Street si scappa con la cassa, la fiducia non esiste più. Gli economisti dicono “crollo di domanda” ma non intervengono lasciando al Fato di avverarsi. Decidono che “la ripresa è salutare solo se non la si cerca”. Nell'Europa continentale sono gli anni del nazifascismo e del comunismo sovietico. Per il mondo va bruciandosi l'ossigeno della modernità.
La nostra Italia, come al solito, sta a metà strada tra l'est e l'ovest, a mollo nel mar Mediterraneo.
Nove mesi dopo nasce in Sud America il protagonista di questa Terra che si prepara alla seconda guerra mondiale: nell'estate del 1930 vanno in scena i Mondiali di calcio d'Uruguay.
Le Nazionali del pallone d'Europa e dell'America latina si affrontano negli stadi e i padroni di casa si laureano Campioni.
L'Italia, dopo essersi salvata l'anima con i Patti Lateranensi, si prepara ad ospitare la seconda edizione da padrone di casa. I colori dei Campioni del mondo del 1934 sono i nostri azzurri che romanamente inneggiano al Duce. Conquistiamo anche l'Africa e il nostro Re diventa Imperatore.
Nella primavera del 1938 la Germania del Fuhrer si annette l'Austria, mentre l'Italia di Pozzo espugna la Francia e siamo sempre noi i Campioni del Mondo. Purtroppo i ragazzi delle classi successive non si incontreranno mai sui campi di calcio. Nessun arbitro può più fermare il gioco scorretto e la seconda guerra mondiale interrompe la nostra striscia di vittorie mondiali.
Gli anni Trenta, la prima decade della nostra era, sono quelli dell'Italia fascista. Al bar non si parla di
politica. Allo stadio vince la Juventus, ma il Bologna del cuore di Mussolini si difende bene. La nostra città rivedrà il tricolore una sola volta dopo la fine del regime di Predappio: a coronamento degli anni di Dozza Sindaco della Liberazione la città può entusiasmarsi per le magie di Bulgarelli, Haller e Pascutti.
La politica estera del nostro Paese, pardon Impero, è aggressiva. “Veni, vidi, vici” dicevano i nostri avi romani. E noi non siamo da meno. Il talento di Giuseppe Meazza ci conduce sul tetto del mondo ma purtroppo le vittorie azzurre sono sporcate da indelebili macchie nere. La follia del Duce ci conduce invece nel baratro della seconda guerra mondiale: negli stadi non si gioca più a calcio. Sulle montagne si spara, nelle campagne si scappa dai rastrellamenti e le città si trasformano in rifugi antiaerei. Il vecchio mondo agonizza sotto i ferri dei campi di sterminio, soffocato dai funghi nucleari della bomba atomica.
Chiede solo un po' di silenzio.
I vagiti della Repubblica sono quelli di Coppi e di Bartali e del Grande Torino. La sorte non è così clemente: lo spettro della tragedia si affaccia sull'Italia liberata. Serviva una montagna per fermare i nostri campioni.
Con loro, magari, sarebbe andata meglio in Brasile l'anno seguente quando il mondo si tendeva le mani in segno di pace nei campi di calcio. L'era del calcio moderno nasce nel modo che tutti conosciamo: al ritmo della samba che ancora oggi si balla nei migliori stadi. Nonostante ciò alla selecao non riuscirà di tenere a casa la coppa Rimet che atterrerà la dove era nata, a Montevideo.
Serviranno ancora altri quattro anni per vedere il mitico trofeo nel Vecchio Continente. Accade in Svizzera grazie alla Germania, che con laboriosa umiltà si era rimboccata le maniche per risorgere dai terribili strascichi del conflitto mondiale lavorando alla costruzione del motore della nuova Europa.

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