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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 23 - 1 Settembre 2007 | 1 commento

Salto nel buio

A vederli da vicino son proprio brutti. O meglio, a vederli ingranditi. Tutti questi piccoli animaletti: insetti, ragni, vermicelli. Io son sempre stato dell'idea che i registi e gli sceneggiatori di film horror si sono sempre ispirati a questi piccoli animaletti per le creature dei loro film con cui ci regalavano incubi da urlo.

Ingranditi son brutti, fossero reali farebbero anche paura.

E paura la incuteva e la incute tuttora anche a dimensioni normali un piccolo parassita, la filossera, Phylloxera Castratrix per gli amici, animaletto particolarmente ghiotto di viti, di radici per la precisione.

Originario dell'america, arrivato in Europa per una gitarella fuori porta si trovò talmente bene nel vecchio continente da diventare la disgrazia della quasi totalità dei vigneron europei; quasi totalità in quanto non riesce a superare certe altitudini (questi viticoltori eroici ci avevano visto lungo) salvando i vigneti della Val d'Aosta, e non riuscendo a muoversi nei terreni sabbiosi, come sono ad esempio parte del Sulcis e i vini delle sabbie ferraresi.

Famiglie in disgrazie e vitigni che rischiarono di andar perduti per sempre, interi vigneti distrutti e annate anonime senza il vino che potesse scaldare il cuore delle genti.

Non fece eccezione il savignon rosso, vitigno autoctono romagnolo. Avete letto bene, savignon, vigneto che non centra niente col più famoso sauvignon.

Tale vite era molto diffusa in Romagna, specialmente nei pressi di Faenza e aree limitrofe.

Si ottiene un vino profumato, secco e con un discreto corpo.

La filossera non lo risparmiò, come d'altronde tutti i vigneti europei, e si corse anche il rischio di assistere alla sua scomparsa, sorte che invece toccò a diverse tipologie.

Destino volle che un certo Pietro Pianori, noto ai suoi concittadini col soprannome di centesimino, ne coltivasse qualche pianta nel cortile del suo palazzo. Cortile interno di un palazzo nel centro storico di Faenza, inattaccabile dalla filossera, animale che giustamente preferisce gli spazi aperti alle mura domestiche.

Così alcuni esemplari sopravvissero ad una delle più grandi catastrofi che avevano luogo a cavallo del XIX e XX secolo, la distruzione della maggior parte dei vigneti (mi vengono brividi solo a pensarci) mentre l'ingegno umano si adoperava, almeno una volta per una causa utile, per trovare rimedio a questo mostro paragonabile agli orchi del signore degli anelli.

La soluzione: la filossera è un bifolco americano…in america ci sono le viti…IMPIANTIAMO LA VITE EUROPEA SU UN PIEDE AMERICANO!

Traduzione: le viti americane convivevano da tempo con questo terribile afide, convivenza che le costrinse darwinianamente a sviluppare difese naturali. L'idea semplice ma geniale, come d'altronde la maggior parte delle invenzioni, del professor francese Planchoin di Montpellier (dedichiamogli vie, piazze! Erigiamo statue, anche solo di marzapane, ad ogni angolo per questo sant'uomo) fu di innestare la pianta europea su radici americane.

Curiosa coincidenza: il nostro piccolo afide riusciva ad attaccare le foglie della pianta americana, mentre non vi riusciva in quella europea. Ergo: l'invenzione ebbe successo anche nel nuovo mondo.

Ma abbandoniamo l'eroe Francese per ritornare all'eroe Romagnolo.

Il Pianori, meglio noto come Centesimino, continuò a coltivare pazientemente nel proprio giardino di casa il savignon rosso. Nel momento in cui si trovò rimedio impiantò le marze nel proprio podere di Terbato.

Il vino che ne scaturì non doveva essere così cattivo, tanto che inesorabilmente il centesimino tornò a popolare i vigneti.

Al momento di centesimino in purezza ho avuto poche occasioni per berlo, vi segnalo Podere Morini e Leone Conti, aziende molto attente alla cultura dei vitigni autoctoni.

Insomma, di fianco alla statua di marzapane del professor Planchoin, che ne dite di una di pastafrolla per Pietro Pianori detto Centesimino?

1 Commento

  1. beh, forse non gli dedicheranno vie e piazze, ma almeno chiamalo con il suo nome… non si chiamava Planchoin, ma Planchon, Jules Emile, come scrivono in tanti siti da cui forse l'avrai copiato, e non era neanche di Montpellier,dove comunque insegnava all'Università… un poco di serietà critica, perdio…

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