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Scritto da nel Internazionale, Numero 27 - 1 Novembre 2007 | 0 commenti

Belgio: una separazione strisciante?

“Macchè divario culturale! Il Belgio soffre prima di tutto di un sistema politico talmente confuso da risultare quasi offensivo per i cittadini”. L'analisi di Pieter Lagrou – direttore del Dipartimento di Storia all'Università francofona di Bruxelles, lui, fiammingo e perfettamente bilingue – non ha esitazioni: “non posso che dare ragioni al grande storico inglese Eric Hobsbawm, è lo Stato a creare la nazione”. In Belgio, questa dunque la sua tesi, l'ottusità delle scelte politiche avrebbe creato uno Stato federale a compartimenti stagni, con pochi punti di contatto “nazionali” tra le tre regioni federate – la Vallonia francofona, le Fiandre fiamminghe e la bilingue regione di Bruxelles – amministrativamente autonome. Un assetto che avrebbe cristallizzato e progressivamente alimentato le divisioni linguistiche e culturali esistenti tra la popolazione.

Dal 10 giugno scorso – data delle ultime elezioni parlamentari federali – il Regno del Belgio non ha un governo. L'estrema frammentazione del sistema partitico rende talmente complicata la costruzione di una maggioranza parlamentare che le trattative tra i maggiori partiti vanno avanti da quattro mesi senza mai arrivare ad un accordo. L'inerzia delle trattative politiche trascina l'impasse all'infinito.

Il fiorire spontaneo di centinaia di bandiere tricolori nero-giallo-rosse appese alle finestre di privati cittadini a Bruxelles testimonia la frustrazione della popolazione – o di una sua parte – di fronte ad eventi sempre più preoccupanti per l'Unità nazionale: le tensioni degli ultimi giorni in alcune disputate municipalità attorno alla capitale sono sfociate in risse ben più che verbali e manifestazioni sempre più radicali di frange di nazionalisti fiamminghi legati a gruppi vicini all'estrema destra, che dichiarano “morto” lo Stato belga e plaudono alla secessione delle Fiandre.

“Con il Belgio se bisogna, senza se si può”: il tradizionale motto fiammingo risuona sempre più incalzante. Lagrou cerca di ridimensionare: “Alcuni partiti fiamminghi fomentano i conflitti, è vero, ma le loro rivendicazioni non sono per nulla diverse da quelle della vostra Lega Nord o dei Catalani. E hanno lo stesso limite nel consenso popolare”. Le divisioni culturali, soprattutto per quanto riguarda la lingua, esistono, certo, ma ciò che conta – sostiene Lagrou – sono le disparità economiche tra la fiorente regione fiamminga, tradizionalmente borghese e conservatrice, e l'arrancante area vallona, dalle origini più proletarie e progressiste.

“Una classe politica imbelle non è stata capace di raggiungere un compromesso istituzionale in grado di contenere richieste potenzialmente conciliabili in partenza e che, invece, per effetto di decisioni assurde da parte dei partiti, si sono cristallizzate e paiono ora irrisolvibili”.

Lagrou fa riferimento, in primo luogo, alla volontà di Liberali e Socialisti fiamminghi negli anni '70 di sciogliere i precedenti partiti organizzati su base nazionale per crearne due su base regionale e linguistica, assecondando i contingenti umori popolari, allora piuttosto caldi. Ad oggi, il risultato è che il Belgio si ritrova ad essere l'unico Paese federale con soli partiti regionali, ovviamente portati a difendere prioritariamente gli interessi particolaristici della propria comunità linguistica. La Costituzione prevede che il Governo sia costituito da un pari numero di Ministri fiamminghi e francofoni: ciò assicura alle due comunità un diritto di veto su ogni decisione federale. E il conseguente stallo nelle questioni più delicate.

Quanto poi all'assetto istituzionale, è facile immaginare che tipo di compromessi siano stati generati da un sistema politico così contorto nella ripartizione di competenze tra livelli di governo federale e locale: “Provate a chiedere ai cittadini belgi se sanno chi è responsabile, per esempio, della sanità, dei trasporti pubblici, della scuola… Nessuno ti saprà rispondere! La Costituzione è stata rimaneggiate così tante volte – e mai sottoposta a referendum popolare – che solo gli specialisti ci possono capire qualcosa. Ma la gente comune no”.

Difatti, l'insoddisfazione popolare verso la classe politica è sfociata nella promozione, organizzata in grande stile da una piattaforma civica, di una petizione senza base politica né linguistica che richiede ai partiti di “rispettare il Paese e la sua Unità” in questo momento così drammatico per il Belgio, mettendo da parte dispute incomprensibili ai più. Segno della volontà popolare all'unità nazionale? I maggiori quotidiani francofoni e fiamminghi seguono con una cerrta distrazione le trattative partitiche federali e danno maggiore spazio ai dibattiti interni alle Comunità linguistiche. Il livello amministrativo più intellegibile da parte dell'opinione pubblica resta quello locale. C'è da vedere se questo coincide anche con un'identificazione primariamente basata sulla Comunità linguistica.

E' realistico aspettarsi una clamorosa separazione nel Paese sede dell'unità Europea? Il rischio di creare un precedente, valvola di sfogo per tutte le rivendicazioni localiste in Europa è tale da costituire un vincolo strettissimo alle decisioni belghe. Trovato il compromesso in extremis, è probabile che tutto sia presto messo a tacere. Ma gli umori popolari e le tensioni politiche rimarranno.

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