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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 27 - 1 Novembre 2007 | 0 commenti

La Serata d'addio di Paolo Villaggio

Si spengono le luci in sala mentre il sipario è ancora chiuso, da dietro le quinte, si ode la voce sommessa del protagonista rassicurare la moglie sul buon esito che avrà la sua conferenza di denuncia morale contro ogni forma di dipendenza (fumo, droga, alcol).

Inizia così il lungo monologo in tre atti di Paolo Villaggio, liberamente ispirato alle opere di due grandi maestri del teatro. L'artista genovese, nelle insolite vesti di drammaturgo, rilegge e interpreta con il suo stile inconfondibile tre monologhi: Il fumo uccide (da “Il tabacco fa male” di Anton Cechov), Una vita all'asta (da “Il canto del cigno” di Anton Cechov), L'ultima fidanzata (da “L'uomo col fiore i bocca” di Luigi Pirandello). Tre atti unici in cui il filo conduttore è rappresentato dalla profonda solitudine del protagonista e allo stesso tempo dalla sua innata carica grottesca. Tre uomini diversi che si incontrano, si uniscono e infine si fondono in un unico attore, sino a divenire i tre volti diversi dello stesso uomo, i tre diversi momenti della medesima vita.

Tragicità e ironia si alternano sul palcoscenico, commozione e risa si mescolano fra loro, è la nascita di una nuova maschera tragi-comica cui Villaggio ci ha da sempre abituato, tanto che è impossibile non volgere il pensiero agli indimenticabili personaggi interpretati nelle opere di Fellini, Monicelli, Olmi, Salvatores, Strehler.

Serata d'addio è la conferma dell'artista genovese come istrione della scena teatrale, e non solo, un attore capace di guadagnarsi un posto di tutto rilievo nel panorama della comicità italiana. Il timore che questo spettacolo sia davvero un addio al palcoscenico, e le note di una canzone dell'amico De André alla fine del terzo atto, ci fanno dimenticare la voce roca e l'aspetto un po' appesantito di quest'ultimo Villaggio.

Il sarcasmo de Il fumo uccide, la malinconia di Una vita all'asta e il cinismo de L'ultima fidanzata, forse mal si accordano col sentimento tutto cristiano dell'epilogo, nonostante sia degna di nota la lettura del Cantico delle creature. L'equilibrio dello spettacolo nel suo insieme, tuttavia, non è compromesso, e quella genialità nell'interpretazione, che da sempre contraddistingue le opere di Villaggio, fa da collante alle piccole crepe.

Serata d'addio risulta nel suo insieme, l'ultima piccola grande fatica di un formidabile artista; l'impiegato dell'Italsider padre di Fantozzi, il cabarettista da crociera compagno di De Andrè e Berlusconi, il mirabile interprete de L'avaro di Molière, e sopra ogni cosa, l'uomo emblema della tragi-comicità all'italiana.

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