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Scritto da nel Numero 27 - 1 Novembre 2007, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Un albero per aula – 14/08/2005 Adomé

Un po' di tempo fa avevo fermato la mia bici lungo la strada, sempre la stessa. Non ricordo bene, ma forse ero un po' scazzato e, per rompere la monotonia della giornata, mi ero messo a giocare con i bambini fuori ad una delle tante chiese. Il gioco, adomé, è una specie di 'palla avvelenata': due bambini che si lanciano una palla ed uno in mezzo che deve schivarla o bloccarla. La palla: in genere un insieme di carte di giornale appallottolate rinchiuse in fogli di giornali e nastro adesivo. Finora l'unico pallone serio o quasi serio l'ho visto allo stadio locale.
Certo, da lontano la scena doveva sembrare idilliaca: uomo bianco che gioca con nugolo di bambini fuori alla chiesa. Quasi da foto di reportage. Il quadretto era reso, almeno per il mio olfatto, un po' meno idilliaco dal notevole cumulo di munnezza antistante, con tanto di caprette – mio possibile pasto serale nel non lontano Chaoma- che ci pascolavano bellamente.

Da quel giorno, ogni volta che passo per quel tratto, voci lontane chiamano: all'immancabile How are you?, si aggiunge un altro coro di Adomé! Adomé!. Io qualche volta posso fermarmi, spesso no. Anche se ogni tanto, dopo ore e ore di lavoro, un po' di regressione infantile non mi dispiacerebbe proprio. Imparare qualche gioco nuovo, o forse riscoprirne di vecchi, magari sono gli stessi ai quali si giocava anche in Italia qualche decennio fa. Adomé è quello più in voga; giocato soprattutto dalle bambine. E' uno di quei giochi crudeli se sei scarso; sei eliminato subito e te ne stai un bel po' di tempo ad aspettare. Ovviamente, quando gioco io, mi fanno stare anche se perdo e io mi prendo la rivincita di tutte le volte che da bambino quelli più grandi mi tenevano fuori dalle partite di pallone o mi confinavano al ruolo di portiere.

Poi tante altre cose da imparare: come diamine far girare per metri e metri una gomma di bicicletta rammendata alla buona con una bacchetta di legno o come fare l'hula-hoop con un cerchio di legno quanto mai irregolare (non che ci sia mai riuscito nemmeno con quelli belli di plastica tutti colorati che circolavano ancora fino a qualche tempo fa).

I bambini che giocano vicino all'ufficio dell'ICS sono fierissimi delle loro macchinine. “E' più bella la mia”, si dicono l'un l'altro. Le fabbricano con vecchie scatole di latte o con lattine, pezzetti di legno e una corda per tirarle. Ogni tanto qualche pezzo si perde e tocca fare riparazioni ad hoc o trovarne di nuovi. Le macchinine sfrecciano veloci, quanto i bambini che le trainano. E, almeno finora, sono senza dubbio il souvenir più bello che mi porterò in Italia.

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