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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 30 - 16 Dicembre 2007 | 0 commenti

Convegno:”Valori e valore del vino italiano”

 

Come al solito non riesco a salire sul treno senza aver fatto prima una corsa degna di Momenti di Gloria.  

Bologna-Firenze: giusto il tempo di riacclimatarmi (esagerato), ed eccomi proiettato al Convegno organizzato dalla Bayer CropScience con titolo: ”Valori e valore del vino italiano. La parola alla filiera.”

Convegno molto interessante, ricco di invitati importanti e di spunti: da Piero Antinori (omonima azienda e Federvini) a Riccardo Ricci Cubastro (Federdoc), da Valentino Valentini (Città del Vino) a Federico Castellucci (Presidente OIV[1]).

Proprio quest’ultimo, nella prima parte della conferenza incentrata per molti tratti sulla Bayer e la promozione del libro “La vite e il Vino” fatto dalla stessa (“pago-pretendo!”), dove non sono mancate le frecciatine alla Biodinamica definita “esoterica”, ha illustrato gli andamenti dei consumi a livello mondiale.

Il consumo mondiale di vino è cresciuto dal 2006 al 2007 di 2-3 milioni di ettolitri. Va sottolineato che non è il consumo pro-capite ad essere aumentato, ma il numero dei consumatori.  

 

Secondo Castellucci dato molto positivo, in quanto indicativo di una sempre maggiore estensione della cultura del vino e della civiltà del bere, nel senso del bere consapevole.

 

 

I paesi capofila come consumo pro-capite rimangono Italia e Francia, i quali dopo anni di calo fisiologico hanno stabilizzato i consumi. Da segnalare la crescita di paesi tradizionalmente non consumatori di vino, come la Danimarca che supera perfino la Spagna,  nonché di Russia, India e Cina nella quale si evidenzia una nuova borghesia sui 25-30 anni molto sensibile al lusso.

Il calo interno e dei cugini d’oltralpe è da considerare fisiologico in quanto, come sottolineato da Carlo Cannella[2], fermo restando che il vino non deve superare il 10% dell’apporto calorico quotidiano, sono cambiate le abitudini e gli stili di vita dagli anni del dopoguerra in avanti, stili ormai consolidati.

Ultimo intervento degno di nota del mattino è di Diego Tommasi[3], il quale ha soffermato l’attenzione sul rapporto paesaggio qualità del vino percepita: considerato che il vino viene valutato sia per qualità intrinseche (gusto) che qualità estrinseche (ambito emozionale), dai risultati di un panel test emerge che associando il vino a un paesaggio di volta in volta deturpato, con filari anonimi, naturale con presenza dell'elemento umano e naturale curato ma senza elementi umani espliciti emerge un gradimento via via maggiore, fino ad ottenere il livello massimo per l'associazione con un ambiente naturale.

Il paesaggio ed il territorio diventano ancor prima del produttore sinonimo di garanzia e qualità.

Da segnalare a pranzo un ottimo buffet: zuppa di farro, tortelloni ai carciofi, tartine varie, spezzatino di cinghiale, affettati misti, torte salate, torte alla cioccolata e crema, e dulcis in fundo, la macedonia. Non so se fosse chimico, ma era tutto più che gradevole!

La giornata è ripresa con ospiti che si alternavano sul palco formando svariate tavole rotonde, il tutto moderato dal bravo Matteo Marenghi.

La prima ad intervenire è stata Pia Donata Berlucchi[4], la quale ha un’altra volta sottolineato l’evoluzione del vino da alimento a oggetto di consumo edonistico. A seguire simpatico botta e risposta tra la stessa ed il moderatore: “Il 70% delle scelte di vino al ristorante è ormai fatta dalle donne” ha sostenuto la prima; “ecco perché nelle carte dei vini non sono più scritti i prezzi!”.

Antonio Calò[5] ha poi invitato alla prudenza sullo seguire i trend del momento: in seguito alla scoperta delle proprietà benefiche dei polifenoli contenuti nei vini rossi si è registrata un’impennata dell’impianto di uve rosse, fino ad coprire che il 70% degli ultimi impianti. Questi vigneti dureranno almeno 30 anni, e se il vento cambiasse?

 

Cubastro ha invece spostato l’attenzione sulla moltitudine di denominazioni in Italia (“e se lo dico io che sono Presidente della Federdoc…”), tra DOC e DOCG circa 360 in tutto. Probamente molte di queste denominazioni andrebbero riviste, in quanto si deve comunque permettere una valvola di sfogo ai produttori aderenti (forse IGT riveduta), ma quando 40 di queste VQPRD rappresentano solo il 20% del potenziale prodotto è impossibile promuovere il vino.

Inoltre si dichiara contrarissimo all’equiparazione delle VQPRD alle Dop e della Igt all’IGP. La Dop pone vincoli solamente sull’origine delle materie prime senza alcun obbligo di lavoro in loco, mentre per ciò che concerne l’IGT-IGP il passaggio a quest’ultima toglierebbe l’elasticità e flessibilità che ne ha fatto la fortuna sua e dei produttori.

 

Interrogato se le aziende italiane ed europee siano troppo piccole rispetto ai competitor stranieri, Piero Antinori ha risposto che il problema non si pone nella fascia alta, esistendo aziende piccolissime ma altrettanto autorevoli, ma bensì nelle fascie media e medio-alta. Una possibile risposta potrebbe il mai di moda “l’unione fa la forza”: cooperazione e consorzi di vendita.

E se lo dice Antinori…

Sempre a proposito di cooperative Carlo Salvatori[6] ha negato categoricamente che ci siano vantaggi per una cooperativa di trasformarsi in società commerciale: si correrebbe il rischio di puntare solamente sui vini più facili da vendere anziché continuare a valorizzare tutti gli associati, ergo il territorio di provenienza.

Valentino Valentini  ha invece sottolineato l’esigenza di ripensare al ruolo delle strade del vino.

Infine Guido Tampieri, sottosegretario del MIPAF, che ha sottolineato come il calo produttivo fosse un obiettivo ricercato da almeno 20 anni, e della necessità nel futuro di trovare un punto di equilibrio tra umanesimo e ricerca.

 


 

[1] Organisation de la Vigne et du Vin

[2] Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

[3] Cra Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano

[4] Le Donne del Vino

[5] Accademia Italiana della Vite e del Vino  

[6] Fedagri Confcooperative

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