I Savoia e la ghigliottina
Il 2 Giugno 1946, tramite il primo referendum a suffragio universale della storia italiana, il 54,3% degli elettori si pronunciò in favore della Repubblica a scapito della monarchia. Questa consultazione, poneva idealmente fine a quel processo unitario e compiutamente democratico, avviato nel 1848 con l'inevitabile concessione dello Statuto Albertino, proseguito poi col Risorgimento e la contigua trasformazione del Regno di Sardegna in Regno d'Italia. L'iniziale rapporto fiduciario che legava il popolo alla giovane monarchia nazionale, non resse ai rapporti di compromissione o di debolezza, che questa dimostrò durante l'ascesa ed il consolidamento del regime fascista: in particolare, l'atteggiamento pavido che Vittorio Emanuele III mantenne nel '22 in occasione della Marcia su Roma e la promulgazione nel '38 delle Leggi Razziali, furono alcuni degli episodi che contribuirono a determinare l'esito referendario. Nel 1946, nonostante l'abdicazione del 9 maggio di Vittorio Emanuele III, e l'ascesa al trono del figlio Umberto II, meno compromesso con il regime e la fallimentare esperienza bellica, l'Italia si pronunciò in favore delle repubblica. Scorrendo i libri di storia, si fatica a trovare una “cacciata di re” effettuata con la stessa mitezza che giustamente caratterizzò l'allontanamento dei Savoia: l'esilio dorato di Umberto II sulle splendide spiagge di Cascais, insieme alla morbida avocazione dei beni sabaudi, sembrano dimostrare la fondatezza di questo assunto. Questa è la Storia fino all'Anno del Signore 1948: anno di promulgazione della Costituzione Repubblicana, con la quale, l'esilio acquistò la forza di legge costituzionale. Il rientro in Italia dei Savoia, avvenuto nel 2002 grazie ad una modifica costituzionale, da molti è stato interpretato come un giusto, o quantomeno comprensibile risarcimento, seguito al mezzo secolo d'esilio. Ma poi, al contrario di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi, è iniziato il lento e incalzante delirio, terminato soltanto con la richiesta di un risarcimento di 260 milioni di euro, avanzata da Vittorio Emanuele e dal figlio Emanuele Filiberto, nei confronti della Repubblica Italiana. Senza abbandonarsi alla facile ironia su questa vicenda grottesca, è sufficiente sfogliare il nobile curriculum incasellato da Vittorio Emanuele negli ultimi trent'anni, per rimpatriarlo con infamia, alla stregua di un qualsiasi delinquente da strada: tessera P2 n. 1621, trafficante dichiarato di armi, sospettato di commercio di droga e sfruttamento della prostituzione, e dulcis in fundo, come non ricordare l'omicidio al tiro assegno compiuto dall'erede di casa Savoia nel 1987? Tutto questo, senza volersi magnanimamente soffermare sulla sua ascesa all'interno della Loggia P2, e dei rapporti più o meno diretti che questa ebbe tra l'altro, con la Banda della Magliana, la bomba sull'Italicus e la strage di Bologna, solo per elencare alcuni degli avvenimenti che hanno avvelenato la storia contemporanea. Lo spettacolo e le pretese di questi “nobili buffoni”, nei confronti di una nazione che deve in parte ringraziare i loro padri per il Ventennio e il Patto d'Acciaio, fa venire a molti cittadini una inconfessabile voglia di Francia. Non la moderna Francia di Nicolas Sarkozy, bensì quella dei giacobini, del 1793, e di Piazza della Rivoluzione, dove il povero Luigi XVI perse letteralmente la testa… Ma i tempi, come i nobili, sono cambiati, e gli spargimenti di sangue appartengono fortunatamente alla memoria. Assaporando la preveggenza del Principe di Salina, ed il suo aristocratico distacco: Noi fummo i gattopardi, i leoni, e dopo di noi verranno le jene e gli sciacalli, non ci resta che prendere atto del mutamento avvenuto.