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Scritto da nel Internazionale, Numero 29 - 1 Dicembre 2007 | 0 commenti

La speranza indiana

L'India, con 1,13 miliardi di abitanti, è la più grande democrazia del mondo, a un passo dal club delle superpotenze mondiali, protagonista della globalizzazione, esempio di convivenza tra popoli e religioni diverse.

“La speranza indiana”[1] è l'ultimo libro di Federico Rampini, giornalista e corrispondente in Asia di Repubblica: un viaggio nel sub-continente sconvolto da profondi cambiamenti, storie di città ricostruite, nuovi tycoon dell'economia, gli effetti della globalizzazione… fino a giungere alla constatazione che dall'India passa il futuro del mondo.

La crescita economica dell'India è stata ed è tuttora meno violenta rispetto a quella cinese, ma ciò non impedirà al paese di diventare nel giro di qualche decennio la prima potenza mondiale, tenendo conto di un tasso di natalità superiore a quello cinese[2] oltre ad un sistema politico aperto e sostenibili strategie di sviluppo.

Ma l'India è già oggi un buon esempio per il resto del mondo sotto molti aspetti. Prendiamo le personalità politiche: il Capo dello Stato è dal luglio 2007 Pratibha Patil, prima donna a ricoprire questo ruolo; il Primo Ministro è Manmohan Singh, primo Sikh a guidare un governo indiano; la più famosa personalità della politica è Sonia Gandhi, italiana e cattolica, a capo del Partito del Congresso; il presidente della Corte Suprema è un membro delle caste inferiori; la capitale New Delhi è governata da una donna, e sempre una donna è a capo del partito degli intoccabili. Questa la situazione in India, mentre in Italia si parla di quote rosa e negli Stati Uniti non è mai stato eletto presidente un non-bianco o una donna.

Inoltre la politica vede il coinvolgimento in larga parte delle classi più povere a contrario di quello che succede nel resto del mondo dove la partecipazione ai processi elettorali è superiore nei ceti più ricchi e scolarizzati. I poveri di casta inferiore, emarginati dalla società, hanno trovato nell'attività politica l'unico strumento di rivalsa economica e sociale: la libertà non è un lusso per i ricchi, è l'arma più forte in mano ai poveri[3].

La povertà rimane sicuramente il problema più impellente, considerando che la ricchezza generata dal boom economico degli ultimi anni (PIL del 9.4% nel 2006[4]), tende a distribuirsi in modo disomogeneo, con ulteriori disparità tra zone geografiche e ceti sociali e con il 22% della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Il 60% della forza lavoro occupata in attività agricole, ha spinto gli ultimi governi a varare riforme tese ad un ammodernamento delle infrastrutture e processi produttivi proprio nelle zone rurali.

Ma il passo in avanti dell'economia indiana è stato compiuto cambiando radicalmente il sistema: da un'economia rigidamente pianificata su piani quinquennali, avviata già immediatamente dopo l'indipendenza da Nehru, si è passati al libero mercato e ad una maggiore apertura al mondo. Seguono quindi i timori dell'Occidente: l'India come opportunità grazie alla delocalizzazione (negli Stati Uniti è stato coniato il verbo to bangalore, dalla città di Bangalore, nuova capitale mondiale del software) o minaccia con i suoi prodotti più competitivi così come accaduto con la Cina?

L'India rappresenta, con i suoi pregi e i suoi difetti, le sue paure e le speranze, l'intero mondo che cambia, anche attraverso le macroscopiche contraddizioni. Il Sub-Continente si è trasformato ed è ora un protagonista. Rampini apre il suo saggio citando Pasolini “La gente che in India ha studiato sa che non ha speranza”[5]; l'India di Pasolini è ormai lontana.

I tempi sono cambiati.


[1] F. Rampini, “La speranza indiana”, Mondadori – Strade Blu, 2007

[2] 22,69 nascite ogni 1000 abitanti contro le 13,45 in Cina nel 2007 (Cia -the World FactBook)

[3] F. Rampini, “La speranza indiana”, Mondadori – Strade Blu, 2007

[4] CIA-the World FactBook

[5] P.P. Pasolini, “L'odore dell'India”, 1961

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