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Scritto da nel Numero 30 - 16 Dicembre 2007, Politica | 4 commenti

Made in Italy

Made in Italy è una riuscitissima pellicola girata da Nanni Loy nel lontano 1965: attraverso una spassosa istantanea, il regista ritraeva i molti vizi e le poche virtù, tipiche del Bel Paese. Oggi, tra fogli di giornali e rintocchi di radio, è risaputo come il Made in Italy sia il nuovo imperativo categorico nel mondo della moda: i beni posizionali sfornati da questa fiorente industria, dove i marchi italiani rappresentano l'apice creativo, sono croce e delizia per un mercato, del resto abbastanza stagnante. Il costo proibitivo di tale prodotti, è giustificato secondo le aziende ed i fruitori, dal fervore creativo necessario per idearli, dalla qualità intrinseca delle materie prime con cui vengono confezionati, ed infine dalla manodopera altamente qualificata che assembla il prodotto finito. E' da considerare infine, lo status di bene posizionale che molti acquirenti attribuiscono alla grande firma: in una società dell'immagine dove l'apparire sembra rappresentare il fine ultimo dell'individuo, è del tutto comprensibile, anche se non giustificabile, che questo tenti d'innalzarsi attraverso il mero possesso di un bene esclusivo ed invidiabile. Questa è la leggenda, la verità trapelata grazie alla magistrale inchiesta condotta da Sabrina Giannini per Report è molto diversa: è una realtà fatta di successivi subappalti, dove i grandi marchi finiscono magicamente per produrre a costo zero, demandando le commesse agli stabilimenti cinesi ubicati tra le zone industriali di Prato e la Campania. Il panorama evidenziato dall'inchiesta è disarmante: la pochette di Prada, venduta in boutique al costo di circa 400 euro, vale in realtà 1,60 euro di materiale e circa quindici euro di manodopera, grazie allo sfruttamento del lavoro nero cinese. Prada, non è ovviamente la pecora nera di un tessuto produttivo del resto completamente legale, ed anzi, quasi tutti i grandi marchi le tengono compagnia in questa corsa al ribasso, etico e qualitativo. Se da un lato, è lecito escludere un implicazione diretta e legalmente rilevante delle case madri, perché attraverso un'incredibile ramificazione i capi zona decidono a quali stabilimenti demandare la produzione, è comunque innegabile una forma di coinvolgimento indiretto di questo becero sfruttamento del lavoro irregolare. Delle due l'una: o il management della moda non conosceva il costo orario del lavoro in Italia, o conoscendolo, sapeva di remunerare gli ultimi anelli della catena meno di un quarto di quanto stabilito dai vigenti Contratti di Lavoro. In ogni caso, la scelta si muove tra la malafede e l'incompetenza, ovvero, tra valori che sarebbe comunque meglio non esportare per far grande il Made in Italy… Esistono fortunatamente anche esempi positivi della creatività italiana nel mondo della moda, ma sovente questi si muovono al di fuori del grande circuito e del jet set: Brunello Cucinelli è un produttore di abbigliamento in cachemire, che nella sua azienda di Solomeo rincorre il lusso, quello vero. L'utilizzo di manodopera altamente qualificata, accanto alla qualità delle materie prime è un fattore imprescindibile per l'imprenditore perugino, che per rincorrere la qualità, remunera i suoi dipendenti in misura maggiore di quanto stabilito dai Contratti di Lavoro, perché per avere creatività, genialità, velocità, non abbiamo macchine ma abbiamo bisogno di esseri umani. Perché è abbastanza facile dire bisogna avere passione nel lavoro, ma come si aver passione in un lavoro dove si guadagnano magari 900 euro? Nella mia impresa cerco di farlo in un modo un po' speciale, dando degli stipendi un po' più alti ma specialmente dando gli stipendi un po' più alti a coloro che fanno un lavoro artigianale. Questa bella storia fa da contraltare alla plastica griffata, prodotta spesso illegalmente da manodopera cinese, e venduta nelle grandi boutique a cifre iperboliche: visto il Natale alle porte, a voi l'ardua decisione per l'acquisto di una nuova borsa Made in Italy…

4 Commenti

  1. Per lo spot l'autore ha ricevuto una paga in soffici maglioncini di Cucinelli?

  2. No, Cucinelli non mi ha mandato niente, in compenso spero nel mio piccolo di aver contribuito a pestare i calli ai pataccari della moda. Ti sei per caso offesa, perchè avevi comprato or ora una bella pochette con tanto di griffe ben in vista per far vedere che sei una che spendi?

  3. No! E' evidente che chi scrive ignora un po' il concetto di costo che non è solo quello di produzione e ovviamente/banalmente ignora anche il prezzo di cartellino di cucinelli. Detto questo, e detto che non esistono buoni e cattivi, pataccari o meno, nutro molta diffidenza da chi prende le informazioni televisive (seppur provenienti da un programma qualitativamente elveato) le mischia un po' e le ripropone senza documentarsi, è poco professionale e molto banale….

  4. Sono d'accordo:innalziamo il livello del dibattito, o della polemica che dir si voglia. Premesso che non ignoro il metafisicamente “alto” concetto di costo,se nella detta categoria aristotelica oltre alla mano d'opera ed alle materie prime, (etc.), rientrano anche voci del tutto estrinseche, quali, ad esempio, li stipendi miliardari corrisposti alle modelle, diventa del tutto normale che il costo di un banale oggetto lieviti in modo iperbolico rispetto al proprio valore d'uso. Del resto, se viene citata la fonte, ritengo del tutto legittimo prendere spunti da programmi d'inchiesta o da riviste d'approfondimento. Cordiali saluti

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