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Scritto da nel Bologna, Numero 30 - 16 Dicembre 2007 | 0 commenti

Verità grido il tuo nome

Per quello che non doveva succedere, per quello che non e’ ancora successo , perche’ non succeda mai piu’.
Ci sono storie che ti lasciano il segno, ci sono storie che ti coinvolgono emotivamente, storie tristi, storie di abusi, ci sono storie che ancora stanno aspettando Giustizia. Il giorno 25 settembre 2005 Federico Aldrovandi ,un ragazzo di 18 anni di Ferrara, decide di uscire con i suoi amici e andare a divertirsi al Link di Bologna. Tornati a Ferrara,verso le cinque di mattina, Federico si fa lasciare nel parchetto di Via Ippodromo per fare due passi a piedi e probabilmente vivere l’incanto della propria citta’ nel silenzio della notte. Ma purtroppo durante il suo ritorno incontrera’ una pattuglia di polizia, che sosterra’ di essere intervenuta su richiesta di alcuni abitanti perche’ il ragazzo era in preda ad una crisi violenta…. Federico perdera’ la vita in seguito a questo intervento. La madre non verra’ avvisata fino alle undici della mattina seguente, pur provando a chiamare piu’ volte il figlio sul cellulare…a cui nessuno rispondeva….
A distanza di 3 mesi dalla tragedia, nel dicembre 2005, la famiglia non conosce ancora l’esito dell’autopsia, non conosce nulla dell’inchiesta aperta ma non solo: in questo periodo alla madre vengono date piu’ versioni riguardanti la morte del figlio; la prima e’ che e’ morto per droga poi che sarebbe morto per un malore e infine le dicono che si era procurato una serie di lesioni sbattendo la testa contro i muri…. Ci sono troppe incoerenze; il corpo di Federico ha riportato numerosi traumi, aveva lo scroto schacciato, una ferita lacero contusa alla testa, numerosi segni di percosse (sono stati ritrovati due manganelli ROTTI) , aveva i polsi neri per i segni delle manette ai polsi e i vestiti restituiti alla madre erano intrisi di sangue.
La mamma apre un blog per chiedere Verita’ e Giustizia per suo figlio e sicuramente senza il suo coraggio questa storia sarebbe finita nel dimenticatoio ma non e’ stato cosi’. Grazie al coraggio di Lino e Patrizia (i genitori di Federico) molte persone cominciano ad interessarsi alla vicenda, vogliono chiarezza su quello che e’ successo, esponenti di Rifondazione Comunista, dei Verdi, negli stadi e nei palazzetti appaiono striscioni recanti la scritta “Verita’ e Giustizia per Aldro”, gli amici di Aldro e tante persone scendono in piazza per urlare la propria voglia di Verita’. I medici-legali di parte depongono una relazione prendendo in esame la consulenza tecnica redatta dai periti incaricati dal pm Guerra basandosi quindi sugli stessi elementi tecnici da loro considerati:se ne evince che le sostanze rilevate dall’indagine tossicologica sono talmente minime da non aver potuto in alcun modo causarne la morte(relazione che verra’ confermata dagli esami tossicologici effettuati presso il laboratorio del Consorzio Regionale Antidoping, sito presso l’Ospedale San Luigi di Orbassano (To))

La causa della morte sarebbe quindi dovuta ai violenti sforzi dovuti alla collutazione, restrinzione fisica in posizione prona prima della morte, immobilizzazione con le mani ammanettate dietro la schiena. La conclusione e’ “ insufficiente assunzione di ossigeno produttiva di insufficienza miocardia acuta” E’ morto lottando disperatamente per respirare, coperto di ferite e di sangue. Il 15 di Marzo 2006 il procuratore capo Saverio Messina comunica l’iscrizione nel registro degli indagati dei quattro poliziotti intervenuti quella notte. Il PM lascia l’inchiesta per “motivi personali” (il figlio viene indagato per spaccio di droga a minori…). Il 16 Luglio 2006 nel corso di un incidente probatorio disposto dalla procura, una supertestimone accusa “ Federico si e’ avvicinato agli agenti con passo deciso, arrivato in mezzo a loro ha fatto una sforbiciata senza toccare nessuno, loro hanno iniziato a picchiarlo, tutti e quattro, con i manganelli e calciandolo, un poliziotto era appoggiato sulle cosce, uno gli gravava sul torace e un altro era in piedi in corrispondenza della testa e lo calciava, lo hanno picchiato fino a quando ha smesso di dimenarsi e non hanno smesso fino a quando hanno visto delle luci avvicinarsi”. Ma allora era troppo tardi, ormai Federico era morto, ormai lo avevano ucciso.
Il 20 Giugno 2007 alle ora 9:00 presso il Tribunale di Ferrara e’ cominciato il processo nei confronti di: 1- FORLANI PAOLO 2- SEGATTO MONICA 3- PONTANI ENZO 4- POLLASTRI LUCA accusati di: 1. per avere omesso di richiedere immediatamente l'intervento di personale sanitario 2. nell'avere in maniera imprudente ingaggiato una colluttazione con Federico Aldrovandi al fine di vincerne la resistenza eccedendo i limiti del legittimo intervento; 3.nell'avere omesso di prestare le prime cure pur in presenza di richiesta espressa da parte di Aldrovandi che in più occasioni aveva invocato "aiuto" chiedendo altresì di interrompere l'azione violenta con la significativa parola "basta” 4. cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso di Federico Aldrovandi determinato da insufficienza cardiaca conseguente a difetto di ossigenazione correlato sia allo sforzo posto in essere dal giovane per resistere alle percosse sia alla posizione prona con polsi ammanettati che ne ha reso maggiormente difficoltosa la respirazione. Poco prima dell’inizio del processo vengono alla luce ATTI FALSIFICATI da parte delle Questura a cui all’inizio fu affidata l’indagine(e’ molto importante far sapere che inizialmente il responsabile delle indagini era nientemeno che il convivente della Segatto Monica) e OMISSIONE DI PROVE. Il processo ha inizio, sono cominciate le deposizioni degli amici di Federico che,colpevoli di raccontare la Verita’, dopo aver perso un amico si ritrovano a subire intimidazioni e pedinamenti da parte di esponenti della polizia.
Nel dolore per aver perso un figlio questa famiglia ha dovuto lottare(e continua a lottare) contro tutti quelli che vogliono infangare la sua memoria con malignita’ e bugie e quelli che ostacolano la Verita’ perche’ sanno di essere colpevoli. Io credo che quello che non puo’ mai venire meno e’ il RISPETTO per il dolore di una famiglia che ha perso un figlio. Da una lettera di Patrizia Moretti: Ho sempre pensato che sopravvivere ad un figlio fosse un dolore insostenibile. Ora mi rendo conto che in realtà non si sopravvive. Non lo dico in senso figurato È proprio così. Una parte di me non ha più respiro. Non ha più luce, futuro.. Quel che non mi da pace è il pensiero del terrore e del dolore che ha vissuto Federico nei suoi ultimi minuti di vita. Non ha mai fatto male a nessuno. Credeva nell'amicizia che dava a piene mani. Era un semplice ragazzo come tanti. Come tutti i ragazzi di quell'età si credeva grande ma dentro non lo era ancora. Aveva tutte le possibilità di una vita davanti, e una gran voglia di viverla…

Da “Lettera di Haidi Giuliani alla madre di Federico Aldrovandi” Cara Patrizia, ti chiedo perdono. Tu non mi conosci, ma da una settimana io ti porto nei miei pensieri e nel mio abbraccio. Da quando ho ricevuto i primi messaggi che parlavano di Federico, vivo con questa angoscia in più. Non so se avrai la pazienza e la voglia di leggermi. Quando muore un figlio, qualsiasi figlio in qualsiasi modo, le parole si fanno pesanti come macigni: è faticoso pronunciarle, è faticoso ascoltarle. Spesso ci ballano in testa lasciandoci ogni volta più confuse e spossate. Quando è stato ucciso il mio, anch'io sono rimasta in silenzio, come te: per cercare di capire che cosa era successo, capire perché e come. Anch'io, come te, non credevo a quanto mi era stato
raccontato: perché conoscevo il mio ragazzo, il suo carattere, il suo modo di reagire alle situazioni. Come su Federico, anche su Carlo moribondo qualcuno ha infierito, prendendolo a calci in faccia, spaccandogli la fronte con una pietrata. Come di Federico, anche di Carlo è stato detto che era un drogato, un poco di buono, uno senza lavoro, senza casa nè famiglia, come se esistesse una condanna legittima e automatica alla pena di morte per chi lo fosse davvero. Anche a me è stato impedito per molte, troppe ore, di vedere il suo corpo. Anch'io, come te, non so chi l'ha ucciso. Anch'io, come te, ho aspettato che persone competenti, preposte istituzionalmente a questo compito, restituissero alla sua morte almeno la verità; persone impegnate per legge, così io credevo, ad assolvere il loro compito fino in fondo. Non è stato facile reprimere il dolore, schiacciarlo, nasconderlo per recuperare la lucidità necessaria a rivedere e raccontare migliaia di volte la morte di mio figlio: mi spingevano la disperazione di non poter fare più nulla per lui, la coscienza di tutti gli altri figli e figlie per i quali era necessario e urgente fare qualcosa..


GIUSTIZIA PER FEDERICO ALDROVANDI

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