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Scritto da nel Numero 31 - 16 Gennaio 2008, Politica | 0 commenti

Aborto: di morale e democrazia

Ci sono parecchi modi di comprendere l'iniziativa lanciata da Giuliano Ferrara per promuovere una moratoria internazionale contro l'aborto. Il tempismo con cui la proposta ha spaccato in due le fragili fondamenta del Partito Democratico desta qualche sospetto sull'opportunismo politico contingente del tema. Comunque, sulla comparazione tra moratoria contro la pena di morte e il bando dell'aborto nel nome della difesa della sacralità della vita, per la verità, si impuntò già il governo polacco nel settembre scorso in seno all'Unione Europea, ritardando l'adozione della posizione comune comunitaria a proposito della moratoria da presentare all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Allora il guanto di sfida non lo raccolse nessuno, il governo polacco fu isolato in Consiglio e si dovette arrendere.

Può darsi che Ferrara abbia scelto un momentum migliore rispetto ai fratelli Kaczynski. Può darsi anche che disponga di una maggiore considerazione collettiva. Anche che lanci la campagna con argomentazioni migliori più profonde. In generale, quella di Ferrara è una posizione tesa ad affermare il senso di un diritto naturale immanente nella legislazione statale quale espressione dei limiti del pensiero e dell'azione umana. Nel ritmo travolgente del cambiamento scientifico e tecnologico delle società occidentali, guidate da un onnipotente razionalismo antropocentrico, deve esistere un limite naturale davanti al quale l'uomo è costretto a fermare la propria volontà. La vita umana stessa e la sua creazione rappresentano questo limite? Secondo Ferrara sì. E l'aborto è il tema più simbolico attraverso cui rilanciare la discussione sulla modernità. Alleandosi con l'istituzione che più di tutte rappresenta l'opposizione verso il nichilismo o relativismo valoriale nel mondo contemporaneo: la Chiesa Cattolica. Una posizione intellettuale e un'argomentazione di carattere fondamentalmente normativa.

Ma in un sistema politico improntato ai valori del liberalismo democratico una proposta, pur se ispirata agli immanenti principi del diritto naturale, deve sottostare alla volontà della maggioranza dei cittadini. La morale comune è determinata dalla terrena opinione di quel corpo elettorale che assume la piena sovranità sulla propria vita collettiva, quando è chiamato a deciderne le sorti. La decisione implica la formazione di gruppi di cittadini divisi a favore o contro una proposta. Questa dinamica di creazione di una distinzione concreta amico-nemico, come direbbe Carl Schmitt, è l'essenza del politico, della politica. Nelle democrazie occidentali si è convenuto che ogni dilemma politico, che cioè crei conflitto tra due parti avverse, si risolva attraverso l'esercizio di un voto. Criteri puramente numerici, maggioranza e minoranza. Con il corollario che tutte le opinioni non abbiano altra differenza di peso altra che la forza argomentativa.

Il sistema democratico ha riscosso più di qualche successo nei Paesi occidentali. La relativizzazione di tutte le giustificazioni normative davanti alla volontà della maggioranza dei cittadini ha portato alla costruzione di una società laica non in quanto atea bensì come egualmente distante da tutte le morali, da tutte le fedi, essendo l'unico criterio di decisione la sovranità popolare. Ciò non ha impedito, in tempi in cui ve ne erano le condizioni, che la maggior parte dei cittadini acconsentisse liberamente, con la forza dei numeri, al fatto che la società si improntasse a valori religiosi cristiani.

Con l'esito del referendum nel 1974 e gli innumerevoli sondaggi di questi giorni, convenzionali rappresentazioni – anche se figurative – della sovranità popolare del nostro sistema politico, la maggioranza degli italiani ha invece deciso e ribadisce che l'interruzione di gravidanza non è un atto comparabile ad un assassinio, benché per gran parte moralmente riprovevole. L'aborto è stato legalizzato tanto per profonde ragioni sociali quanto per il prevalere del principio liberal-democratico della libera scelta dell'individuo razionale di fronte alla sua vita. Delle donne, nello specifico.

D'altra parte, si tratta dello stesso principio che difendiamo quando la comunità occidentale vuole permettere, per esempio, alle donne musulmane di togliersi il velo, o il burka. Anche questi ultimi espressione di un diritto considerato naturale, stavolta di ispirazione coranica, e non biblica, così come racconta a proposito della Turchia il premio Nobel Orhan Pamuk nel suo libro “Neve”. Dove però ci pare che la spinta progressista verso il materialismo individualista e il relativismo democratico siano elementi moralmente qualificanti e desiderabili. Nonostante i proponenti locali della resistenza religiosa al relativismo Occidentale non siano per niente d'accordo.

Il punto è che, secondo l'applicazione di un coerente principio democratico, non esistono argomentazioni moralmente superiori altro che quelle sostenute dalla maggioranza dei cittadini. Vale per i principi religiosi, come quelli di “morale civile” e di assennatezza amministrativa ed economica. La democrazia presuppone come requisito indispensabile il relativismo religioso e politico, in senso di equidistanza e pari tolleranza. Indifferenza rispetto ad un ordine divino? Cedimento al nichilismo valoriale della modernità? Trionfo del materialismo individualista? Forse sì. La democrazia non ammette altri valori morali superiori che i propri principi fondamentali.

Di conseguenza, il principio democratico della sovranità popolare e quello liberale della libertà individuale impongono alla proposta di moratoria contro l'aborto un test numerico elettorale, a dispetto dell'invocazione di qualsivoglia ragione o morale superiore. E la proibizione per legge dell'interruzione di gravidanza sulla base del principio di sacralità della vita, in Italia e altrove, i numeri a favore non li ha.

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