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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 32 - 1 Febbraio 2008 | 1 commento

sua maestà il whisky

Il whisky, dopo gli antichi splendori cantati da Ernest Hemingway, e successivamente, terminata la moda degli anni settanta, è stato per un lungo periodo relegato nel dimenticatoio. Se da un lato, la tendenza nei ristoranti d'etichetta era di preferirgli i classici, e più ruffiani liquori da meditazione: rum, cognac e armagnac, dall'altro, la moda dell'aperitivo e dell'happy hour, ha contribuito all'enorme diffusione di gin, vodka, triple sec, ingredienti essenziali nella preparazione dei cocktail, a scapito dell'antica bevanda, di cui già nel V secolo, San Patrizio testimoniava l'esistenza.

Almeno in Italia, dunque, il whisky insieme alle svariate tecniche di distillazione britanniche, sembrava un liquore relegato anticipatamente alla memoria storica, ucciso dai distillati come i rum e la cachaca, capaci di suggerire con i loro aromi le terre lontane dove vengono confezionati: Cuba, Venenzuela, Guatemala e Giamaica.

Tuttavia, questa tendenza legata ad una moda decennale, ha subito negli ultimi anni un radicale arresto: empiricamente se ne erano accorti i frequentatori di bar e ristornati, in concomitanza con la ricomparsa di numerosi qualità di whisky in esposizione sugli scaffali, e ovviamente hanno preso nota di questa inversione anche gli addetti ai lavori, come testimonia il brillante articolo di Licia Granello su Repubblica del 27 gennaio. La riscoperta di questo liquore da parte del mercato italiano, deve molto alla capillare diffusione dei grandi torbati dell'isola di Islay, la più celebre dell'arcipelago delle Ebridi, dove tra gli altri, vedono i loro natali l'Ardbeg, il Lagavulin e il Caol Ila, solo per elencarne alcuni.

Se fino a pochi anni or sono, questi Whisky possedevano la tiratura ed il prezzo per essere catalogati come prodotti di nicchia, complice anche la loro pienezza per nasi robusti e palati virili, oggi, a parte le edizioni limitate, come il Caol Ila Cask Strengh – prodotto senza aggiunta d'acqua, che mantiene intatto il tasso alcolico ottenuto dalla distillazione- sono tranquillamente reperibili negli ipermercati a partire dai 30 euro.

Di questa nuova tendenza e larga diffusione, non potevano non tener conto gli imperatori del gusto: odorare questo whisky è come camminare d'inverno sui binari di una vecchia stazione. Questa annotazione di Gino Veronelli, a proposito del Laphroig, ha idealmente accompagnato lo sdoganamento, in una passerella di assoluto prestigio, del whisky nell'alta gastronomia: da una parte, come ingredienti di salse, riduzioni, marinature nei piatti della cucina d'autore; dall'altro come “bevanda” in abbinamento ai menù ispirati al distillato di malto. Insomma, fini degustatori e normali bevitori sembrano per una volta d'accordo: nonostante la capillare diffusione dell' aperitivo alla milanese, i grandi whisky stanno prepotentemente bussando alla porta, per conquistare la fetta di mercato che giustamente gli compete. Che stia tornando il tempo dei grandi liquori, a scapito degli sciroppetti alla fragola?

1 Commento

  1. … e come si suol dire, in mancanza “dei grandi liquori”, si sceglie il meglio del peggio.

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