Notte di Gaja
“…spezie di uva nera, la quale è detta nubiola, la quale è dilettevole a manicare, ed è maravigliosamente vinosa, ed ha il granello un poco lungo, e vuol terra grassa, e molto letaminata , e teme l’ombre, e tosto pullula , e fa vino ottimo, e da serbare, e potente molto, e non dee stare ne’graspi oltre a un dì o due…”.[1]
Già nel tredicesimo secolo ne parlava Pier de Crescenzi nel suo Ruralium commodorum libri duodecim del Nebbiolo, principe dei vitigni. Un’uva che secondo la voce più autorevole deve il suo nome alle nebbie che accompagnano la vendemmia, la quale inizia generalmente dopo la prima settimana di ottobre per proseguire anche fino a metà ottobre.
Infatti si tratta di un’uva dal ciclo vegetativo molto lungo tenuto conto sia dei precoci germogliamenti che della già citata vendemmia.
Vitigno dalla diffusione limitatissima: si trova prevalentemente in Piemonte dal quale ne derivano numerosi vini molto differenti tra loro, in Valtellina (su tutti lo sfursat, una sorta di Amarone da uve Nebbiolo), in Valle d’Aosta e in Sardegna, prevalentemente presso i colli del Limbara.
Pochissimi gli ettari all’estero, per un totale complessivo che supera di poco i
Uva nobile, ma dal difficile adattamento, che esprime vini molto diversi tra loro da paese a paese e addirittura da colle a colle.
Un grande interprete di quest’uva, dei vini che ne derivano e le loro mille sfaccettature delle Langhe è sicuramente Angelo Gaja. Un nome che è diventato un autentico mito, la griffe più importante del vino italiano nel mondo.
Per darvene un’idea pensate che da un sondaggio fatto dal Gambero Rosso nel 2007 su un campione di operatori esteri in merito alla notorietà delle cantine italiane ne è risultata una supremazia talmente schiacciante che ne è uscita una graduatoria in centesimi rispetto al valore di Gaja. La “prima” è risultata Antinori con 54/100…
Quando Matias[1] mi ha messo al corrente della degustazione tenutasi all’Enoteca Ronchi di Milano il 13 febbraio ho valutato attentamente i pro e i contro: spendere un patrimonio, viaggio fino a Milano, risveglio all’alba dopo poche ore di sonno per rientrare al lavoro e come pro sei bicchieri di vino.
Non ci ho pensato due secondi.
Ma veniamo al vino ordunque.
Uno champagne come aperitivo, ma non siamo qui per parlare di bollicine francesi.
A seguire cinque grandi espressioni delle Langhe: il Barbaresco 2004, il Costa Russi, Sori San Lorenzo, Contessa e Sperss, tutti del ’98.
Si inizia con il Barbaresco 2004, da molti volgarmente definito base. Un gran vino, a mio modesto parere ancora giovanissimo, con tannini molto decisi in evidenza che arano il palato. Come ha giustamente sottolineato Gaia Gaja, figlia di Angelo che ha presenziato la degustazione, per chi come lei è abituata fin dalla nascita a vini estremamente tannici il 2004 è un vino già pronto mentre altri palati richiedono anni di affinamento aggiuntivo.
Il prosieguo ha dell’incredibile: fuochi d’artificio illuminavano la sala mentre si degustavano i quattro vini del ’98, espressioni magnifiche del Nebbiolo.
Tutti questi vini si presentano con colore leggermente più carico rispetto a quanto mi aspettassi, sicuramente dovuto al taglio di Barbera (circa il 5%) presente in tutti i vini. Infatti questi vini sono classificati come Langhe Nebbiolo Doc e non come Barolo (Contessa e Sperss) Barbaresco Docg (Costa Russi e San Lorenzo).
Il mio preferito: il San Lorenzo. Vino mostruoso. Potrei raccontarvi di note di liquirizia, torrefazione, cacao e fruttate (tutte presenti), di un evoluzione di profumi e sapori nello stesso bicchiere, ma preferisco dirvi che è un vino mostruoso.
Machissenefrega se non sono Barolo e Barbaresco in purezza, meglio fare magnifiche interpretazioni del territorio senza le costrizioni della Docg.
È difficile dire se è giusto pagare una bottiglia di vino 260 euro (a volte anche di più). Va sicuramente sottolineato che in questo casa si parla di vini unici, che non “scappano” dinanzi alla pressione che può esercitare il loro nome ma anzi, sorso dopo sorso, ti fanno realmente emozionare.
Va sottolineato che in tutti i campi vi sono prodotti di diversa fattura e prezzo: come esistono le utilitarie, esiste
[1] Rosso Maurizio e Chris Meier, “Barolo. Personaggi e mito”, pagina 18.
[1] Matias Pizzirani, collaboratore dell’Arengo.