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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 33 - 16 Febbraio 2008 | 0 commenti

Ragazzo, storia di una vecchiaia

Sono stati scritti un'infinità di saggi sulla vecchiaia, dal celeberrimo De senectute di Cicerone al recentissimo Memorie di un vecchio felice. Elogio della tarda età di Pietro Ottone, e tutti, salvo rarissime eccezioni, tendono, in un'orgia di retorica, di ipocrisie e di rimozioni, a darne un'immagine edulcorata, accattivante o, quantomeno, a giustificarla, a fornirle un senso e uno scopo, a farsene una ragione. Non esistono invece saggi sulla giovinezza. Per la semplice ragione che la giovinezza non ha bisogno di essere giustificata, né di farsene una ragione, né di darsi uno scopo e un senso, o anche un non-senso, che non siano quelli della vita stessa. Perché la giovinezza è la vita, la vecchiaia già l'ombra della morte1.

Massimo Fini è certamente uno scrittore che non ha bisogno di presentazioni. Cinismo, anticonformismo, mal de vivre rappresentano la cifra stilistica di scritti originali, spesso finalizzati ad un'illuminante opera di divulgazione storico-filosofica. L'ateismo, abbracciato coerentemente fino alle sue estreme conseguenze, rappresenta il limes dove il senso della vita perde ogni sacralità, ogni motivazione che rimandi all'assoluto, riflesso di una trascendenza negata. In questa prospettiva eroica ed immanente, dove l'uomo è smarrito come un pagano a cui è preclusa la visione dei Campi Elisi, si muove Ragazzo, l' ultima fatica letteraria di Massimo Fini.

I Latini, che erano meno ipocriti di noi, più concreti e meno abituati a mentirsi addosso, parlano di atra senectus, cupa vecchiaia. E atra vuol dire anche funesta, triste, fosca, oscura, nera. E buia. La vecchiaia è soprattutto buia. Si abbassano tutti gli orizzonti. Si fa sera. Cala la notte e non ci sarà una nuova alba2.

Questo pamphlet, s'inserisce senza iati come un nuovo capitolo nella produzione finiana, muovendosi nel panorama di una concezione esistenziale provocatoria e mai allineata, che dopo aver riletto Nietszche, e riabilitato dalla condanna della storiografia ufficiale personaggi come Nerone, Bellarmino e il Mullah Omar, è proseguita imperterrita nella compilazione di un dizionario contro la donna a favore della femmina. Ora, finalmente, la meritata vecchiaia.

La dicotomia che alimenta le 112 pagine del pamphlet, è quella che intercorre appunto tra il ragazzo delle interminabili notti trascorse nelle bische di una Milano d'antan, e la contemporaneità di una vecchiaia incalzante, che come una carogna, devasta il fisico con largo anticipo, lasciando all'intelletto la capacità di cogliere questo progressivo avvilimento. Se da un lato il libro affascina, perché la scelta degli episodi paradigmatici della giovinezza assume una sorta di valenza universale, nella quale tutti possono riconoscersi, dall'altro spaventa, perché il tempo, e il suo fluire che tutto sgretola, sono i veri protagonista di un'istantanea composta d'ironia e cinismo.

Per riuscire a sorridere di svariati aneddoti, occorre aver maturato insieme all'autore, l'amara consapevolezza esistenziale che fa tabula rasa di qualsiasi istanza trascendente; la stessa, che permea l'ironico assunto di Fini. L'estremo paradosso dei vecchi è che desiderano morire ma vogliono vivere.

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