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Scritto da nel Numero 38 - 1 Maggio 2008, Politica | 0 commenti

Sinistra e sindacati: dei delitti e delle pene

Ragioniamo per assurdo. Poniamo che dietro il crollo della Sinistra alle ultime elezioni non ci siano solo né il Partito Democratico né una leadership a dir poco improvvisata. Ma che cause ben più profonde minino le fondamenta del mutuo sostegno tra movimento dei lavoratori, rappresentanza sindacale e struttura politica. Mettiamo che la catena si sia inceppata nel suo anello di mezzo, e che conseguentemente il “Partito” abbia perso il punto di riferimento essenziale di raccolta di voti, e forse persino di identità.

Poche settimane fa l'Espresso ha pubblicato un piccante dossier dedicato all'altra Casta, ovvero i Sindacati italiani CGIL, CISL e UIL. Un fendente editoriale diretto ad un sistema consolidato e pachidermico, sviluppatosi in parallelo alla burocrazia amministrativa statale – per la quale assolve alcune vitali funzioni come l'assistenza fiscale, la formazione professionale, i patronati per i lavoratori italiani all'estero etc. -, di cui ha riprodotto i famigerati vizi riguardo alla gestione finanziaria, all'immobilismo programmatico, alla produzione e mantenimento di vecchie e nuove élites politiche (Bertinotti, Marini, Cofferati, Ferrero, Damiano, D'Antoni, Del Turco, può bastare?).

Non c'è bisogno nemmeno di ricorrere alle statistiche che da tempo segnalano un costante, drammatico declino della rappresentatività dei sindacati tra i lavoratori, non solo in Italia ma in tutta Europa, ad eccezione – non casuale – dei Paesi Scandinavi. Prima di affondare il coltello nella piaga, è utile ricordare i profondi mutamenti strutturali che hanno trasformato il concetto e le forme stessi di lavoro a partire da nuovi modi di produzione e di necessità di organizzazione del lavoro, nonché di identificazione e partecipazione politiche che colpisce allo stesso modo i partiti. In altre parole, la diminuzione delle iscrizioni è causata anche da fattori esterni, non necessariamente da colpe specifiche di dirigenti.

Ciononostante, l'impressione è che la crisi “numerica” sia piuttosto lo specchio di una vera e propria crisi di legittimità dell'azione dei sindacati, di una strisciante critica alle modalità di influenza dei sindacati nella gestione dei rapporti industriali in Italia, oltre che nella gestione economica di questo Paese.

Gli esempi abbondano. Gli italiani sono andati al voto con una percezione estremamente negativa del ruolo dei rappresentanti sindacati nella questione Alitalia, a difesa dell'indifendibile. Che dire poi dell'opposizione irriducibile, oltre che francamente velleitaria, della Fiom all'Accordo firmato dal Ministro Damiano con le parti sociali su pensioni e lavoro? E ancora, la lotta contro il precariato si conduce solo con l'arroccamento ad oltranza sui contratti a tempo determinato, o con la negoziazione dell'estensione universale di un sistema di tutele ora appannaggio di un ristretto numero di categorie iper-privilegiate di fronte ad una massa crescente di lavoratori senza rappresentanza né copertura sociale? Una politica dei redditi efficace in un'economia stagnante e drammaticamente segmentata territorialmente si persegue con l'attaccamento alla contrattazione collettiva a livello nazionale o è cominciato il tempo di abbandonare le riserve verso un suo decentramento, magari persino a livello aziendale?

Il punto è che i maggiori sindacati italiani, e non solo, si stanno dimostrando eccessivamente lenti nel fornire risposte ad una realtà sociale ed economica in evoluzione. Imperniate su un nucleo duro e tradizionalmente attivo di iscritti in determinati settori (con una preponderante peso dell'amministrazione pubblica), oltre che su di una struttura politica monolitica, immobile, CGIL, CISL e UIL perdono contatto nei confronti di nuove categorie di lavoratori, come i giovani scarsamente ed altamente qualificati, le nuove figure di piccoli professionisti. I quali di conseguenza scelgono altre vie per dare voce ai propri interessi, sia in direzione dell'autonomismo radicale frazionato sia in quella, ben più preoccupante, del reazionario rancore. Esprimendo scelte politiche sfuggenti ai canoni storici dell'automatico riferimento dei “lavoratori al Partito (Comunista)”.

Possiamo dunque ipotizzare un nesso causale tra il fallimento dell'azione sindacale di questi anni e tonfo elettorale dei partiti di Sinistra in Italia? Secondo me, sì. La morfologia sociale e politica italiana ha subito un drastico cambiamento il cui passo né gli uni né gli altri hanno saputo reggere, Veltroni o non Veltroni. Se veramente la realtà politica è espressione dei rapporti di produzione, la complessa diversificazione di questi ultimi non può che scombinare le carte della prima. E rendere entrambe incomprensibili a categorie politiche e organizzative sorpassate. Non a titolo definitivo, speriamo.

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