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Scritto da nel Internazionale, Numero 41 - 16 Giugno 2008 | 1 commento

E pluribus plura? La contestata sovranità Europea

Ironicamente, nel giorno del 'no' irlandese al Trattato di Lisbona – un venerdì 13, per giunta -, si affrontano su un campo di calcio Francia e Olanda, in un incontro valido per i Campionati Europei. Proprio i due Paesi che nel 2005 determinarono con l'espressione delle rispettive volontà popolari la morte della Costituzione Europea. Proprio nel contesto di uno straordinario evento mediatico e sportivo specificamente Europeo in cui risalta la distinzione nazionale delle squadre partecipanti. Come ad affermare sì l'esistenza geografica di uno spazio continentale unico, ma frammentato in un puzzle di 27 separate unità territoriali, ancorché politiche.

'E pluribus unum': unità a partire dalla diversità. Il motto di tutti gli Stati federali si potrebbe applicare all' obiettivo costituente del progetto di creazione di un'unione sempre più stretta ('an ever closer union', articolo 1 del Trattato di Roma) tra i popoli e gli Stati europei, di cui l'Unione Europea rappresenta la sua concreta forma politica. La percezione di una sorta di comunanza di culture, destini e pragmatiche sfide internazionali pulsa alla base del tentativo di integrare le unità nazionali in una superiore sintesi politica attraverso un processo di lungo periodo, proiettato nel futuro. Nonostante la varietà di modi attraverso cui il processo d'integrazione Europea è stato attivato – abolizione delle frontiere nel mercato, nella circolazione delle persone e lentamente anche nella difesa e nella redistribuzione economica e sociale -, non si può distogliere gli occhi dall'essenza di un'unione politica: la creazione di un centro di potere finale, un'autorità politica basata sulla sovranità – cioè sul superiore valore delle decisioni prese in seno a questo unico centro.

Sebbene nella storia questo tipo di processo sia stato alla base della costruzione di tutte le forme politiche conosciute di organizzazione della società – regno, impero, stato costituzionale -, l'Unione Europea svela la contemporaneità della sua natura attraverso un aspetto assolutamente inedito: l'integrazione per consenso (democratico). Laddove le precedenti unificazioni avvenivano per conquista militare, le unità politiche moderne si accorpano pacificamente attraverso un razionale processo decisionale comune, basato sull'obiettivo democratico di benessere di tutti i cittadini e non sull'affermazione di una volontà di potenza da parte di un determinato sovrano o Paese. Un progresso dalla portata enorme nell'evoluzione delle forme politiche, se ci pensiamo bene.

La più grande forza risulta essere però anche la debolezza intrinseca più pronunciata per l'Unione Europea. La rinuncia democratica all'esercizio del potere impositivo coercitivo come mezzo per la presa delle decisioni si affida alla pacifica razionalità della ricerca del consenso tra gli individui, della persuasione argomentativa e della deliberazione. Ma se la concordia di obiettivi, mezzi e ruoli è già difficile da ottenere in qualsiasi gruppo umano – dalla coppia che sceglie dove andare in vacanza al quartiere cittadino che vuole pedonalizzare una sua parte – figuratevi la complicazione delle questioni nei numeri di un territorio che conta circa 500 milioni di cittadini sovrani.

Non può dunque sorprendere che le voci contro un progetto politico tanto ambizioso quanto pieno di indubitabili controversie prevalgano in una realtà nazionale: il tentativo di razionalizzazione è sempre minato dall'irrazionalità delle passioni umane, dalle percezioni dei singoli, dall'incompletezza delle informazioni. L'ottenimento di una sovranità per consenso da parte dell'Unione Europea a partire da strutture politiche, sociali, culturali, linguistiche profondamente diverse e radicate si espone per propria natura ad essere contestata. Se si è deciso di fondare l'unità europea su basi democratiche, è pacifico e legittimo che una parte – anche maggioritaria- di individui non si sentano di rischiare un'impresa di unificazione tanto necessaria nella realtà economica e politica moderna quanto innaturale per la vita quotidiana di gran parte della popolazione interessata.

“Non ci sono piani B” ha dichiarato il Presidente della Commissione Europea Barroso, seguito a ruota da gran parte dei capi di Stato e di governo: la ratificazione del Trattato di Lisbona procederà nonostante l'espressione contraria dei cittadini irlandesi – almeno di quel 40% che si è scomodato ad esprimersi. Successe già dopo la firma del Trattato di Maastricht nel 1992, quando fu la sola Danimarca a vedere prevalere i 'no' referendari. Così come allora fu il governo danese ad esercitare la propria sovranità decisionale negoziando una via istituzionale comunitaria per la propria permanenza nell'Unione e poi chiamando la popolazione ad una seconda consultazione, lo stesso potrà essere fatto con l'Irlanda, senza ulteriori crisi di panico persino nello scenario di una volontaria – e improbabile- uscita dall'Unione.

Vero, le dinamiche dell'integrazione europea per consenso democratico negoziato sono sconnesse, promettono tutt'altro che costante coerenza. La costruzione di una sovranità sopranazionale comporta una cruda transizione economica, sociale, culturale che crea vincenti e perdenti, evidenti squilibri e decisioni errate. Ma non si può ignorare l'importanza intrinseca di questa dinamica pacifica di affermazione del progetto Europeo, lontano dagli eserciti e dalle egemonie imposte con la forza. A questo fine, non sia così debole da affidarsi al plebiscito, forma degenere della democrazia rappresentativa a tutti i livelli in cui venga utilizzato, come mezzo di afasica affermazione della sovranità popolare. Non vale forse più la pena contestare e costruire l'Europa, rispondendo e non piegandosi alle sfide?

Dunque, meglio di unum, e pluribus plura: il tutto è composto dalle sue parti e le riconosce con maturità. L'euro-scetticismo degli irlandesi, e di tutti quelli che li avrebbero imitati, sia parte essenziale e legittima di un'Unione Europa pluralisticamente sovrana che prende coscienza della propria complessa necessità e sa metabolizzare le proprie paure e differenze, gestendole.

1 Commento

  1. l'Arengo anticipa sul tempo lavoce.info di poche ore. anche nella voce parlano di questo tema, ne scrive Pietro Manzini, professore di diritto internazionale a scienze politiche a Bologna.

    un confronto può essere utile.
    andiamoa lla grande

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