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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 40 - 1 Giugno 2008 | 0 commenti

Il Dott. Porka a Bari

Il Dott. Porka a Bari

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La Fibronit è una fabbrica svizzera che produce eternit e tubi in amianto nel cuore della città di Bari. Nel 1988 chiude i battenti. Si scopre che i rifiuti tossici prodotti nei 40 anni di attività sono stati seppelliti sotto i suoi stessi capannoni e scaricati in mare nella zona di Torre Quetta, alle porte della città.

Qui nasce una spiaggia di 15 km di sottilissima sabbia di amianto.

Il Comune lo sa, ma nel 1999 anziché bonificare spende svariati miliardi per attrezzare l'area in stile californiano. La spiaggia viene inaugurata in pompa magna con il bagno dell'allora sindaco, Simeone Di Cagno Abbrescia, immortalato da fotografi e telecamere. Ma la festa dura poco. Il sito è pericoloso e ad alto rischio tossicità.

La magistratura lo sequestra nel 2001. Fino ad oggi i morti per mesotelioma pleurico, asbestosi e carcinoma polmonare, i tumori generati dal contatto con l'amianto, sono oltre 200.

Tutta la costa viene transennata, interdetta al pubblico.

OSSATURA IDEOLOGICA

Con “Ready made (s)object” continua l'indagine-provocazione-guerriglia che è l'essenza del gruppo dei P-Proj (Ant_P, Capitano, DvT) che si concentrano ancora una volta su un “non-luogo e, in questa occasione, collaborano con gli artisti Zoka e Zioid.

Il non-luogo infatti è un readymade object.

Il suo contenuto “oggettivo” diventa segno enigmatico ma nello stesso tempo emblema eloquente che rimanda ad altri significati. Da qui la scelta di una location come Torre Quetta ha perso la sua funzione urbanistica ed oggettiva per diventare la NEGAZIONE di se stessa. Da spazio sociale, di vivibilità e valorizzazione paesaggistica, di rivalutazione dell'area periferica japigiana è diventata una “zona rossa”, sotto sequestro e non accessibile a tempo indeterminato.

Il leitmotiv di quest'opera è la MUTAZIONE.

A T. Quetta le cellule viventi si trasformano in cellule tumorali, lo spazio di abitabilità pubblica diventa tossico. Per i P-Proj lo spazio diventa area di AZIONE-ANIMAZIONE. Superfici costruite con le tasse dei cittadini, e ora abbandonate alla salsedine, vengono animate dagli incubi di carta dei P-Proj. Rampicanti e polipi mutanti, umani vittime di piovre succhiacervelli, fantasmi vendicatori di operai Fibronit tornati dalla polvere a chiedere ragione della loro morte senza colpevoli. Il lavoro si conclude sotto la torre con un richiamo alla “meglio gioventù” di Pasolini, marchiata da acriticità e indifferenza.

Il senso della “opera” dei P-Proj risiede nella volontà di comunicare, non nel suo valore estetico o nella sua oggettualità.

IL TITOLO

“READY MADE (S)OBJECT (for KAMPF DER KUNST)”

Il titolo è serio solo a metà.

Il primo gioco di parole fa riferimento al readymade dadaista mentre la seconda parte del titolo, scritto nell'idioma di dada, ed infarcita di errori identificabili solo per i conoscitori della lingua teutonica (???)

TECNICA

I materiali utilizzati sono carta e colla, in linea con la sticker e street art. Una “nuova” forma d'arte, praticata fin dall'inizio dai P-Proj.

L'uso della carta materializza la deperibilità e la precarietà dell'arte e della vita.

IL GRUPPO

I dott.Porka's P-Proj appartengono per discendenza indiretta all'albero genealogico di Dada/Debord/ Internazionale Situazionista intrecciata con la linea dei Guerrieri delle Lettere di Rammellzee e del Panzerismo iconoclasta.

Praticanti di una produzione collettiva ed anonima, l'unica “identità” identificabile è quella del dott.Porka, personaggio dei fumetti dell'etichetta fuorilegge “Casa dei Dissociati”. In azione sono riconoscibili solo asettiche tute bianche. Non quelle dei Disobbedienti, né quelle dei tecnici di laboratorio. Sono quelle della scientifica, indossate da impostori giunti sul luogo del delitto dell'arte per inquinare le prove. Dalla periferia del Sacro Europeo Impero, la retroguardia dell'avanguardia batte il tam tam lungo le linee dei ghetti sociali e culturali da cui proviene perché non ci sono spazi di esistenza, di comunicazione, di socialità. È guerra per un'altra comunicazione.

Il percorso dei men-in-white non è infettato da indottrinamenti ma nasce dalla vita vera, da emarginazioni, precariato, emigrazione, catene di montaggio vissute sulla propria pelle, reali come la loro “arte”.

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