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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 43 - 16 Luglio 2008 | 0 commenti

Con la buona Maniera… si gira Bologna

Con la buona Maniera… si gira Bologna

Il comune denominatore del Manierismo è la licenza sulla regola classica: ogni prodotto artistico dell'età classica scoperto, studiato e assimilato durante il Rinascimento iniziò, allo scadere di quest'ultimo, a funzionare come puro pretesto di partenza, come canovaccio, come si usa dire in teatro, per sviluppare un oggetto che avesse una buona “maniera”, parola aberrante che nell'italiano dell'epoca si usava per indicare una serie di qualità come la varietà, la molteplicità, la facilità, quest'ultima intesa come facilità nel risolvere una difficoltà di ordine tecnico incontrata, ad esempio, nella realizzazione di una statua o di una poesia; un termine lusinghiero era, infatti, “manieroso”: che “ha stile”.
Dunque, si riprendeva la tradizione artistica laddove l'avevano lasciata gli antichi romani con l'idea di continuarne l'evoluzione.
Le generazioni sucessive, a loro volta, operarono un'ulteriore licenza sulla licenza dei loro maestri, provocando un circolo vizioso che espresse alcuni tra i maggiori capolavori dell'arte occidentale.
Ma per assistere ai frutti di questa evoluzione, non occorre cuocere stipati nelle file cosmopolite che affollano gli ingressi dei musei fiorentini; file costituite per lo più da visitatori disposti a tutto pur di vedere nient'altro che il David di Michelangelo…e poi tornarsene a casa senza degnare di un solo sguardo il polittico dell'Orcagna o la Trinità del Masaccio.
La nostra intenzione è quella offrire un breve itinerario (senza fila!) a chi volesse apprezzare un altro Manierismo: quello bolognese.
Bologna all'epoca era un passaggio obbligato per chiunque attraversasse l'entroterra italiano dal nord al sud e dall'est all'ovest; questo fattore comportò da sempre un continuo confronto con le culture fiorentina, milanese, ferrarese, bresciana, padovana, veneziana e, dalla cacciata dei Bentivoglio (1507), anche romana.
Il Manierismo bolognese costituisce un cospicuo patrimonio artistico che, nonostante tutte le perdite dovute a distruzioni o spostamenti (anche qui Napoleone ha fatto le sue “scelte”), offre ancora oggi un itinerario tanto denso e articolato quanti sono gli angoli della città scelti per ospitare la Maniera.
Abbiamo preferito trattare in particolare la vicenda pittorica della Maniera bolognese e scegliere i personaggi più significativi e le tappe più accessibili di questo colorato labirinto.
Partendo da piazza Puntoni entriamo nella Pinacoteca Nazionale, dove incontriamo subito due grandi pittori manieristi: il Parmigianino e Niccolò dell'Abate.
Francesco Maria Mazzola detto il Parmigianino (Parma 1503 – Casalmaggiore 1540) arrivò a Bologna nel 1527 in seguito alla diaspora provocata dal Sacco di Roma, città nella quale giunse tre anni prima e dove frequentò gli artisti della cerchia post-raffaellesca. Ma la sua prima educazione artistica la ricevette a Parma dagli esempi del Correggio.
Ponendoci dunque davanti alla sua Madonna con Santa Margherita (1528-29), un tempo ubicata nel soppresso convento di Santa Margherita, possiamo immaginare l'effetto che le diverse opere del Parmigianino allora presenti a Bologna suscitarono negli artisti dell'epoca, i quali poterono, in un sol colpo, assimilare le ultime tendenze della pittura romana post-raffaellesca mediate dall'eleganza del Correggio (fig. 1).


Il pittore bolognese che più di tutti assorbì tale maniera fu Orazio Samacchini (Bologna 1532 – 1577), della cui opera si può fare un assaggio nella Galleria Davia Bargellini.

Niccolò dell'Abate (Modena 1506 – Fontainebleau 1571) si formò a contatto con l'ambiente ferrarese, tuttavia l'esempio del Parmigianino fu per lui fondamentale come lo fu per tutti i manieristi emiliani. Negli affreschi con le Storie dell'Orlando furioso (già a Palazzo Torfanini, 1548-52) si palesa il gusto per il cavalleresco, ricordo della sua formazione ferrarese (fig. 2).

Un altro suo ciclo di affreschi raffigurante scene di festa a corte , si può ammirare nelle sale del Museo Anatomico di Palazzo Poggi.
Pellegrino Tibaldi (Puria in Valsolda 1527 – Milano 1596) ebbe una prima formazione a Bologna specialmente come architetto ma si formò soprattutto a Roma a contatto con i manieristi di seconda generazione.
Il merito di Tibaldi è stato quello di distillare una sua buona maniera, partendo dalla lezione di Michelangelo e superandola.
Quando tornò a Bologna chiamato dal cardinale Poggi, costruì per quest'ultimo l'omonimo palazzo che poi decorò a fresco con le Storie d'Ulisse (1554). Il palazzo è in via Zamboni 31 ma dato che senza autorizzazione non ci fanno entrare, passiamo oltre ed entriamo nel tempio di San Giacomo Maggiore, che ha l'ingresso principale in piazza Rossini.
L'ultima cappella a destra è quella del cardinale Poggi. Se accendiamo tutti gli interruttori che troviamo possiamo ammirare la Concezione di San Giovanni Battista (fig. 3) e San Giovanni Battista battezza la moltitudine, entrambe realizzate a fresco nel 1555 e improntate ad una monumentalità michelangiolesca.

La pala d'altare che raffigura il Battesimo di Cristo è stata realizzata, su disegno del Tibaldi, da Prospero Fontana (Bologna 1512 – 1597), manierista bolognese formatosi nella cerchia post-raffaellesca, attivissimo in città e riconoscibile dai suoi cieli “chimici”; lo si può ammirare anche in Pinacoteca, alla Galleria Davia Bargellini e in diverse chiese del centro storico (ad esempio la chiesa del Baraccano).
Nelle due nicchie ai lati dell'altare il Tibaldi ha dipinto i palchi che ospitano il cardinale Poggi e altri personaggi della famiglia Poggi.
Quando cent'anni dopo, a Roma, in piena stagione barocca, il Bernini realizzerà i palchi dai quali i membri della famiglia Cornaro sembrano guardare in eterno l'altare maggiore, riprenderà di fatto l'invenzione del Tibaldi nella cappella Poggi (Shearman, 1965).
Le Storie del Battista continuano in miniatura sul pregevole soffitto stuccato.
Concludiamo segnalandovi un tipico esempio di “Manierismo alla bolognese”, un'opera d'arte che ha il sapore di un piatto tipico: si tratta della Madonna e i santi Agostino, Stefano, Giovanni Battista, Antonio Abate e Nicolò, con i committenti coniugi Brigola (fig. 4), realizzata intorno al 1565 da Bartolomeo Passerotti (Bologna 1529 – 1592).

La si può ammirare nella settima cappella a partire dalla cappella Poggi tornando verso l'ingresso della chiesa.
Quest'ultimo, dopo aver lavorato a Roma con Taddeo Zuccari tornò a Bologna e aprì bottega sotto le due torri, dove elaborò un doppio linguaggio in base alle committenze: nei ritratti perseguiva un forte naturalismo; nei soggetti sacri e profani invece operava una licenziosità grottesca, esasperando l'eleganza di Correggio (di cui ripete alcuni tratti morfologici) in chiave espressionistica, tipicamente bolognese. Nell'opera sopra citata, stupisce la volgarità della Madonna, scelta a caso tra il popolo che fatica a trattenere il vivacissimo Bambino; e che, col piede prensile arricciato sullo scalino del trono, pare una cocorita sul trespolo. Per non parlare dei “santi”: una manica di sbandati, sguaiati e disadorni, ciascuno che regge il suo attributo iconografico come se non ci fosse abituato. Attori pasoliniani.
Infine, a chiudere la composizione ai lati, i due committenti dell'opera nonché proprietari della cappella, i coniugi Brigola; ritratti dall' “altra mano” del Passerotti, quella del ritrattista appunto, il quale osò conferire più dignità ai comuni mortali che ai santi!

Pinacoteca Nazionale, via Belle Arti 56
Orari di visita
martedì – domenica: 9 – 19 (chiuso il lunedì)

Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore 44
Orari di visita
martedì – sabato: 9 – 14; domenica: 9 – 13 (chiuso il lunedì)

Museo di Palazzo Poggi, via Zamboni 33
Orari di visita
lunedì – sabato: 9 – 16; domenica e festivi: 10.30 – 15.30

Le chiese sono mediamente aperte dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30

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