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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 43 - 16 Luglio 2008 | 0 commenti

La vita

La tentazione strisciante, nell'affrontare una tematica complessa e di fatto irrisolvibile, come quella del valore ultimo sotteso all'esistenza umana, sarebbe di richiamarsi attraverso uno sterile ipse dixit, alle grandi personalità che nel corso dei secoli hanno misurato il loro pensiero con uno snodo concettuale, generalmente derubricato tra i problemi irrisolvibili.

Dal momento che tale esercizio, si risolverebbe ad una sterile prova d'erudizione, interamente ripercorribile attraverso un qualsiasi manuale economico o di filosofia, sarebbe maggiormente utile tentare un approccio capace di sollevare una riflessione su alcuni aspetti moralmente condivisibili e storicamente veritieri.

Il valore morale della vita umana, anche a prescindere dalla quantificazione monetaria tipicamente contemporanea, non riposa tra gli assoluti di platonica memoria, ma è piuttosto un valore relativo, che ha subito rilevanti oscillazioni col trascorrere dei secoli. A conferma di tale assunto, senza la necessità di scorrere troppo a ritroso il nastro della storia, è sufficiente ricordare come fino al tredicesimo emendamento della Costituzione, datato 1865, la schiavitù rappresentasse una realtà consolidata negli Stati Uniti, relegando il valore dell'esistenza ad una quantificazione moralmente inaccettabile e basata aprioristicamente sul diritto di nascita.

La contemporaneità, attraverso l'ipocrisia che la contraddistingue, ha tentato di porre fine alla barbarie dell'innatismo, riscontrando nel parametro economico la quantificazione del valore dell'esistenza: nel peggiore dei casi questa si risolve ad una becera identità tra essere e avere, in altri casi, come testimonia l'usanza di mettere in salvo prima le donne ed i bambini, l'etica tenta di quantificare il valore in base all'utilità generale che l'individuo riveste nei confronti della specie di appartenenza. In questa seconda tipologia, l'utilitarismo che permea la scelta non è dettato univocamente da un criterio innato od economico, ma è invece finalizzato, attraverso il doloroso sacrificio del particolare ad un ipotetico ma prevedibile progresso del generale: la donna rappresenta la fertilità e il bambino il futuro, ovvero incarnano entrambi possibilità non ancora estrinsecate.

Questa prospettiva etica ed immanente, anche se ritagliata ad hoc, sembra denotare come il valore della vita possa assumere un significato relativo, o comunque relativizzabile, non soltanto in relazione al tempo, ma anche in relazione al valore stesso. Ovviamente il criterio di scelta utilizzato, anche se plasmato su di una istanza propriamente etica, è soltanto uno all'interno della gamma dei possibili, e ragionando per possibilità, nessuno potrebbe aprioristicamente escludere, che sarebbe stato meglio salvare un uomo attivo, piuttosto di un adolescente che potrebbe passare la vita a delinquere.

Il tema della relatività, ed in ultima analisi del criterio di scelta economico o morale, perde di significato laddove si postuli l'esistenza di una religione o di un'ideologia: in questo caso la vita dell'individuo assume un significato accidentale all'interno di un fluire che lo sovrasta enormemente, il particolare trova ora la sua ragion d'essere non più nell'interesse del generale, come nella dimensione etica, ma all'interno del trascendente, dove i legami logici e affettivi sono recisi, per un istanza che il singolo individuo percepisce come superiore. Che il trascendente coincida poi con l'avvento del comunismo o la maggior gloria di Allah, in questa prospettiva ha poca importanza, l'accento nell'esistenza è posto sulla luna, non sul dito che la indica.

Di fatto, in una prospettiva immanente la vita resta l'unica certezza del genere umano, coerentemente è del tutto normale che l'individuo, per istinto di conservazione o paura del nulla, cerchi di conservarla con tutti i mezzi a sua disposizione. La quantificazione oggettiva di quanto soggettivamente è percepito come un assoluto, dipende, come si è visto brevemente, dai tempi e dall'unità di misura prescelta, anche se i casi per cui vale la pena sacrificare l'esistenza, per rendere retrospettivamente immortale l'istante che separa la nascita dalla morte, rappresentano l'eccezione.

Nonostante tre millenni di filosofia, ed uno studio economico che in modo onnivoro sta divorando lo scibile umano, la saggezza popolare ha racchiuso mirabilmente in una sentenza, l'assoluto soggettivo: meglio un brutto processo di un bel funerale.

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