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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 43 - 16 Luglio 2008 | 2 commenti

Ricordando Spoon River

Era il 1914, l'anno in cui Edgar Lee Masters iniziò a pubblicare sul “Redy's Mirror” di St. Louis l'Antologia di Spoon River sotto forma di singoli epitaffi, il successo fu tale che lo scrittore decise di abbandonare per sempre l'avvocatura e dedicarsi esclusivamente alla poesia. Altrettanta fortuna, l'autore americano, raccolse in Italia, ma la storia della pubblicazione nel nostro paese è alquanto particolare.
Durante il ventennio fascista, periodo nel quale la letteratura americana era ovviamente osteggiata dal regime, Cesare Pavese regalò una copia dell'Antologia di Spoon River a Fernanda Pivano, allora adolescente, che gli aveva chiesto quale fosse la differenza tra letteratura inglese e americana. Per la Pivano fu un colpo di fulmine. Quasi per capire meglio le poesie, per conoscere più a fondo i personaggi, iniziò a tradurre in italiano l'opera di E.L. Masters e quando un giorno, nel 1943, Pavese scoprì in un cassetto il manoscritto, convinse Einaudi a pubblicarlo. Per evitare la censura del Ministero della Cultura Popolare, il titolo fu cambiato in Antologia di S. River, e l'opera dello scrittore americano spacciata per una raccolta di pensieri di un quanto mai improbabile San River.
Da allora l'Antologia di Spoon River non ha mai smesso di essere letta, intere generazioni hanno vissuto quello stesso colpo di fulmine che per prima visse Fernanda Pivano, e ciò che ancora oggi a distanza di quasi un secolo dalla sua nascita, la rende d'incredibile attualità e quella sua capacità di raccontare attraverso il microcosmo di Spoon River un macrocosmo cui tutti noi apparteniamo. Edgar Lee Masters scelse 244 personaggi per raccontare la storia della vita umana. Ognuno di loro personifica un mestiere, una categoria e attraverso di esse una tipologia di uomo. Per fare ciò s'ispirò a uomini e donne realmente esistiti, gli abitanti di Lewistown e Petesburg, due piccoli paesi vicino a Springfield, tanto da suscitare le ire delle persone che riconobbero i lori vizi privati pubblicati in un libro.
Ogni poesia, sotto la forma dell'epitaffio, racconta la vita del personaggio da cui prende il titolo, la peculiarità sta nella totale assenza di censura morale poiché essendo i protagonisti ormai morti, non temono di raccontare la più cruda verità. I monologhi s'intrecciano fra loro, le diverse storie corrono su binari paralleli, talvolta si affiancano sino a sovrapporsi, ciò che ne deriva è da un lato il ritratto della società americana d'inizio secolo, nelle fredde tinte dell'ipocrisia e del falso perbenismo, dall'altro l'affresco delle più ampie problematiche umane: il senso della vita, l'amore, le costrizioni della società.
Nel 1971 Fabrizio De Andrè fra le 244 poesie dell'Antologia di Spoon River, ne scelse nove e le trasformò in canzoni, dalle quali nacque l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo. Di Edgar Lee Masters si conservò la poetica ma i personaggi di Spoon River persero la loro individualità per elevarsi ad emblema di una particolare condizione umana. Non a caso mentre nell'opera originale ogni poesia ha come titolo il cognome e nome del suo protagonista, nell'album del cantautore genovese le canzoni hanno titoli generici (Un giudice, Un matto etc…). Un solo personaggio conservò anche nell'album la sua identità: il violinista Jones. L'unico che non fu possibile ridurre ad una categoria perché l'unico capace di compiere una scelta diversa rispetto al resto della comunità: la libertà. La libertà di fare per tutta la vita ciò che amava di più, senza mai cedere ai doveri che la società impone, rinunciando a inseguire false chimere.
A chi ha amato Fabrizio De Andrè, così come a chi ha amato Edgar Lee Masters, credo piaccia ricordare questi due grandi poeti del '900 come due esempi di suonatore Jones: uomini liberi da ogni rimpianto.
IL VIOLINISTA JONES
La terra emana una vibrazione
là nel tuo cuore, e quello sei tu.
E se la gente scopre che sai suonare,
ebbene, suonare ti tocca per tutta la vita.
Che cosa vedi, un raccolto di trifoglio?
O un prato da attraversare per arrivare al fiume?
Il vento è nel granturco; tu ti freghi le mani
per i buoi ora pronti per il mercato;
oppure senti il fruscio delle gonne.
Come le ragazze quando ballano nel Boschetto.
Per Cooney Potter una colonna di polvere
o un vortice di foglie significavano disastrosa siccità;
Per me somigliavano a Sammy Testarossa
che danzava al motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare i miei quaranta acri
per non parlare di acquistarne altri,
con una ridda di corni, fagotti e ottavini
agitata nella mia testa da corvi e pettirossi
e il cigolio di un mulino a vento – solo questo?
E io non iniziai mai ad arare in vita mia
senza che qualcuno si fermasse per strada
e mi portasse via per un ballo o un picnic.
Finii con quaranta acri;
finii con una viola rotta -
e una risata spezzata, e mille ricordi,
e nemmeno un rimpianto.

2 Commenti

  1. nell'ascoltare il disco di De Andrè e, non avendo mai letto l'antologia di Spoon River, mi son sempre chiesto quanto fabrizio avesse effettivamente “preso a prestito”. Il disco, per me di rara bellezza /grazie Pippo epr avermelo aftto conoscere/, si sofferma su questioni molto care a De andrè che ritroviamo ina ltri dischi, come il tema della giustizia (non solo il nano che non conosce la statura di dio ma anche il giudice con la faccia da uomo), della libertà, della religione…
    è stato De andrè a rielaborare i temi di Spoon river avvicinandoli alla sua filosofia di vita, o è stato Lee Masters un maestro per De andrè, come Cohen o Brasson, fondamenta della sua formazione intellettuale??

  2. De Andrè riformula le poesie di Edgar Lee Master estirpandole dai legami diretti con i personaggi presenti nell'opera elevandole a figura universale. Come ben espressa Lorella.
    Probabilmente le poesie che più hanno toccato Fabrizio sono quelle relative ai personaggi da lui sentiti come più affini o disperati ed atti a rappresentare la società.
    Sicuramente ci saranno anche motivazioni puramente musicali dietro alla scelta dei personaggi vista la difficoltà di eleggere 9 poesie/personaggi tra i 244 capolavori di Master, ognuno dei quali rappresenta in maniera minuziosa e chiara l'animo umano e come interagisce all'interno della società.

    Edgar Lee Master è indubbiamente un maestro di De Andrè, e non mi stupirei se lo fosse anche di Dylan, Cohen e Brasson

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