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Scritto da nel Intervista, Numero 47 - 1 Ottobre 2008 | 0 commenti

Bhagwati 3 – sui paesi in via di sviluppo e sulle negoziazioni multilaterali

È stato ultimamente a Lima? Perchè il traffico è così simile a quello di Nuova Delhi e così diverso da quello di Washington o Ginevra? E perchè i Paesi sottosviluppati faticano a creare istituzioni solide e politche che sappiano promuovere crescita economica e svliuppo? Soffriamo per caso di un peccato originale??
Realmente non credo; nuovamente, non esiste una sola risposta, forse sarebbe più semplice scomporre il problema in diversi paesi ed aree.
L'Asia orientale è riuscita a mantenere livelli di crescita del 10%. Un fattore cruciale sono state le riforme agrarie. Corea e Taiwan furono occupate dal Giappone, e sotto questo regime furono avviate queste riforme, che portarono ad una migliore distribuzione dei beni ed a livelli di istruzione più elevati. Fu l'occupazione giapponese a produrre queste condizioni, che potremmo chiamare istituzioni.
Inoltre, essendo paesi piccoli, decisero di aprire le proprie economie il più possibile, ed anche questo fu benefico. Al contrario, i paesi grandi tendono a credere di poter produrre da sè tutto quello di cui necessitano, e questo finisce invece per pregiudicarli. Questo modello funzionò molto bene per i paesi menzionati, permettendogli tassi di crescita a quei livelli per 25 anni. In seguito, soffrirono una grave recessione, ma nuovamente stanno ristabilizzandosi su questi livelli. Si potrebbe affermare che dispongano di una struttura istituzionale perfetta per lo sviluppo, chiaramente adeguata alle loro condizioni.
Per l'India il processo sta richiedendo più tempo, credo a causa di una serie di politche troppo interventiste che fallirono; tuttavia, stiamo imparando da questa eseprienza e siamo nella giusta direzione per lo sviluppo.
L'Africa ha sofferto molto, le sue economie sono crollate e le isituzioni che si vogliono erigere vengono distrutte a causa della guerra. Forse che la teoria di Hernando de Soto sia la corretta, anche se personalmente non lo credo. E nonostante, devo ammettere che i diritti di proprietà si intrecciano molto con le ragioni per cui la gente combatte. Se io possiedo beni, e tu possiedi beni, il costo di una guerra sarebbe più alto, giacchè i nostri beni verrebbero distrutti; questa è anche la teoria del McDonald, se avessimo proprietà allora non vorremo combattere per non rischiare di perderle. Sfortunatamente le guerre sono irrazionali, non seguono alcuna regola stabilita. A dir la verità, vorrei tanto che Hernando avesse ragione, in questa maniera le guerre si potrebbero evitare assegnando beni alla gente
Il Sud America è senza dubbio un continente molto diverso, però credo che bisogni rispondere alle sue domande rispetto al paese in cui vive. Tuttavia, direi che in generale nella regione esiste un problema di esclusione sociale che risale fino all'epoca dei conquistadores. È un problema molto serio, che non credo abbia a che fare con la globalizzazione, come qualcuno sostiene. La popolazione indigena sta chiedendo di essere inclusa nei processi decisionali e nella ripartizione dei benefici. Stanno vedendo quello che possono ottenere e giustamente pretendono di esser presi in considerazione. È possibile che la globalizzazione abbia peggiorato la distribuzione delle entrate, ma non esiste alcuna evidenza che lo dimostri rotondamente. Diversamente da Hernando, non credo che lo abbia fatto. Tuttavia molta gente sì che lo crede, e questa percezione generale dell'opinione pubblica rischia di arrecare problemi al governo. Per come la vedo io, la globalizzazione sta dando alle persone l'opportunità di sfruttare tutto il denaro in entrata e soprattutto di giovare dei benefici commerciali. Le entrate sono effettivamente aumentate e mi sembra che la globalizzazione abbia accresciuto il numero di persone adeguatamente assunte. Quello che è più importante è che la globalizzazione ha ricordato alle gente che è possibile crescere di più, e questo genera un maggior impegno per conseguirlo.
Adesso che abbiamo parlato di Ginevra, Washington e Lima, crede che stiamo perdendo il nostro tempo negoziando trattati commerciali con economie più ricche? Che consiglio darebbe a chi è incaricato di queste negoziazioni?
Essenzialmente credo che i paesi in via di sviluppo si trovino in una posizione favorevole nel negoziare trattati multilaterali, perchè così, diversi paesi poveri possono unirsi e ottenere un maggior potere contrattuale. Quando stai negoziando con una superpotenza come l'Unione Europea, vedrai che un gran numero di domande non hanno nulla a che vedere con il commercio in sè. Per loro, il commercio non è la cosa più importante, ma piuttosto il resto di accordi e trattati a cui si arriva. Quello che bisogna fare è per prima cosa decidere cos'è ciò che realmente vogliamo. In seguito, quando si presentano a porgere domande diverse, ad esempio, sull'aprire il settore al dettaglio, anche se questo fosse quello che più desideriamo raggiungere, dobbiamo farlo sembrare come se stessimo facendo una cocnessione su questo tema. Devono ricordarsi che non è solo una negoziazione commerciale, centinaia di clausole e condizioni sono incluse, devono assicurarsi di essere disposti ad acconsentire su questi temi.
È per questo che ci troviamo un una posizione favorevole a negoziare trattati internazionali; in questa maniera siamo capaci di difenderci e di ottenre un trattato più benefico.
Ricoratevi, quello che fanno i grandi poteri è utilizzare il commercio come uno mezzo, non un fine. Noi invece, i paesi poveri, la nostra forza sta nei numeri, ed abbiamo la potenzialità di negoziare con successo in conferenze, a Ginevra, nel WTO. È per questo che ci stanno scegliendo una alla volta nel tentativo di firmare trattati bilaterali. È la strategia di guerra: dividere e conquistare.
Lei dimostra un'attitudine positiva verso la diminuzione della povertà? Per lo meno, crede che le persone che vivono in paesi poveri come i nostri abbiamo un senso dell'umorismo nigliore rispetto a chi vive nel mondo sviluppato? È questo un rimedio o un sintomo?
Beh, potrebbe essere un sintomo. Come dire, questa è la maniera in cui viviamo. Credo che sia relazioanato con la cultura del paese e con il sentimento nazionale. Alcuni paesi ridono di se stessi, altri no. Gli indù non ridono di se stessi, ma che dire segli statunitensi, si prendono molto sul serio. Lasciatemi raccontare un aneddoto.
Mi trovavo a Montevideo per aprire una cnferenza sul commercio bilaterale e cominciai dicendo: “in India, così come in Sud America, abbiamo grandi scrittori, romanzieri, poeti, e contemporaneamente, entrambi abboiamo avuto politiche di commercio disastrose. Quindi, secondo la teoria del vantaggio comparato di Ricardo, forse dovremmo scrivere di più e lasciare il commercio agli altri paesi” ehehe, nessuno ha riso.
Traduzione di Stefano Clò

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