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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 47 - 1 Ottobre 2008 | 0 commenti

Una nuova veglia irlandese

Vincitore da outsider del prestigioso Man Booker Prize 2007, il romanzo La Veglia, dell'irlandese Anne Enright, esce in questi giorni in Italia edito da Bompiani.

La Veglia è la storia della famiglia Hegarty nell'Irlanda contemporanea; è la storia di un padre violento e distratto che per semplice incuranza dei metodi contraccettivi mette al mondo dodici figli; è la storia di una madre così assente da aver dimenticato persino se stessa; è la storia di Veronica e dei suoi fratelli, malinconici e disperati, da Ernest, prete spretato, all'instabile Bea; è la storia di Liam e di quel male interiore che lo ha divorato sino a portarlo ad immergersi nelle fredde acque di Bringhton per non tornare più.

Proprio il suicidio del fratello più caro porterà Veronica a ripercorrere attraverso i ricordi l'intera storia della sua famiglia, per tentare di capire Liam e l'origine di quel dolore che lentamente lo ha consumato e soprattutto per capire, in qualche modo anche se stessa. Una fitta trama di ricordi, confusi e frammentari, occupa i pensieri di Veronica, realtà e immaginazione si mescolano tra loro, tanto che tracciare dei contorni netti diventa quasi impossibile, persino quando si ricorda un fatto drammatico come un abuso sessuale. La costruzione del romanzo non è lineare e mai potrebbe esserlo, poiché segue il flusso dei pensieri di Veronica, poiché non lo è la sua stessa vita. I pensieri nascono e crescono nella sua mente sino a implodere e ripiegarsi su se stessi, non vi è consolazione alla tragedia della sua esistenza, solo un'amara e triste ironia.

La Veglia di Anne Enright riporta inevitabilmente a un'altra veglia irlandese: il Finnegans Wake (1939) di James Joyce. Il padre del flusso di coscienza, dopo aver dato corpo ai pensieri dei protagonisti dell'Ulysses, diede, infatti, corpo e anima, ai sogni visionari di Mr. Earwicker. Finnegans Wake (il nome deriva da una ballata irlandese il cui protagonista muore cadendo da impalcatura ma torna immediatamente in vita al suono della parola “whisky”) fu il tentativo ultimo di bandire ogni elemento oggettivo dalla struttura del romanzo per rappresentare insieme l'universale e il particolare attraverso la soggettività dell'individuo. Joyce lavorò diciassette anni al suo Work in Progress è il risultato fu un'opera di indescrivibile purezza e forza emotiva (almeno per il lettore che abbia il coraggio di superare una prima, superficiale e quindi spesso incomprensibile, lettura).

Oltre allo stile dello stream of conscious, certo meno ricercato ed ermetico in Anne Enright, ciò che accomuna i due romanzi è il particolare modo di ricostruire la storia di una famiglia. Ne La Veglia, tutto ciò che veniamo a sapere della famiglia Hegarty è frutto dei ricordi di Veronica, ogni realtà è filtrata dalle maglie della sua memoria. Nell'opera di Joyce la soggettività del protagonista è portata al limite estremo: sino al penultimo capitolo, ove il protagonista al sopraggiungere del mattino si risveglia per un breve momento, non è fornito alcun dato oggettivo, tanto che ad una prima lettura la preoccupazione del lettore è quella di scoprire chi è il dormiente e quindi a chi appartengono gli occhi, o per meglio dire i sogni attraverso i quali veniamo a conoscere l'intera narrazione. Ne consegue che fatti già di per sé tragici, come l'abuso sessuale in La Veglia o le fantasie erotiche che Mr. Earwicker dedica ai propri figli, assumono ancora maggior efficacia drammatica, fondata su quel senso di costante incertezza in cui versa il lettore per gran parte del romanzo. Solo col volgere della narrazione scopriremo l'origine dei tabù sessuali di Veronica, così come solo col volgere della narrazione (in realtà alla fine del romanzo) scopriremo le vere ragioni che muovono il desiderio incestuoso di Mr. Earwicker.

Con il romanzo di Anne Enright una nuova veglia irlandese ha fatto il suo ingresso nel panorama letterario europeo, e se da un lato può realmente essere considerato un romanzo “rivelazione”, come è stato definito dalla critica italiana, dall'altro riporta alla mente il profumo di quella stessa Dublino che 70 anni prima ispirò James Joyce.

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