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Scritto da nel Internazionale, Numero 50 - 16 Novembre 2008 | 0 commenti

Il ritorno democratico: politica estera e riflessi sull'Unione Europea

La vittoria del candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca porta con sé un carico di novità intrinseco di cui si parla tutti i giorni e che non può essere messo in discussione. Superata l’euforia iniziale, interna ed esterna agli Stati Uniti, per questo fatto che merita di diritto l’immediata entrata nei libri di storia, è giusto ritornare alle consuete considerazioni che accompagnano l’elezione di un qualsiasi presidente in regimi democratici, in particolare quello degli Stati Uniti per via della sua centralità nel panorama internazionale.
Le considerazioni possono riguardare molteplici piani di analisi, dal terreno nazionale a quello esterno-internazionale, e non possono prescindere dalla consapevolezza del contesto storico-istituzionale. Di fatto, il programma promosso da Obama, e scelto dai cittadini, prevede un’Agenda interna consistente, solida, e, per quel che concerne gli Stati Uniti, anche innovativa. Il programma dovrà però affrontare la presenza di fattori endogeni ed esogeni agli USA, quali, rispettivamente, il limitato potere d’ingerenza del Presidente su assunti di carattere nazionale, che seppure è andato aumentando nel corso della storia si scontra categoricamente con le competenze esclusive dei paesi federati, ed il contesto internazionale, che vede in questo periodo protagonista assoluto la crisi finanziaria.
Il neopresidente, portavoce di un profondo cambiamento, potrebbe trovarsi ancor più vincolato in politica estera a causa di costrizioni esterne, ad esempio l’incremento di una reale minaccia, ma anche per via della morale/ideologia che è alla base della società americana e che può portare l’opinione pubblica a influenzare le decisioni del presidente.
Il cambiamento tanto invocato può ragionevolmente tradursi in una rinnovata ricerca di legittimità internazionale che il paese ha perso in trent’anni di predominio repubblicano (l’amministrazione Clinton fu molto influenzata da una tendenza ideologica conservatrice predominante all’epoca), e in particolare con le ultime due amministrazioni Bush.
La visione liberale della storia che è alla base del partito democratico suggerisce il percorso da intraprendere, ovvero, quello di una progressiva istituzionalizzazione delle relazioni internazionali, trascrivibile nel contesto odierno con una riconsiderazione del valore di alcune Organizzazioni Internazionali, come l’ONU (ripetutamente ignorata dall’amministrazione Bush), ed una ridefinizione dei termini di altre, come Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).
Fatta questa premessa, vale la pena soffermarsi sui riflessi che questa ricerca di legittimazione tramite le Istituzioni, che a parer mio è la strada più consona al progetto di Obama, avrebbe verso l’Unione Europea.
Di fatto, la scelta delle amministrazioni Bush di agire unilateralmente su questioni delicate ha messo in crisi le dinamiche interne dell’Unione, che vedono la continua ricerca di posizioni convergenti tra i suoi membri tramite consultazioni, sostituendo ad esse la vecchia logica del divide et impera. Gli Stati membri sono stati più volte messi di fronte a scelte difficili che toccavano direttamente principi stessi che stanno alla base dell’Unione.
 
Questa frattura può ora essere risanata dal ritorno democratico alla Casa Bianca.
I margini di manovra di Obama sono, come si è detto, limitati, ma non per questo non possono essere di grande rilievo. Le questioni più discusse e di maggior visibilità internazionale sono quelle relative alla presenza statunitense in Medio Oriente.
Nel particolare, le proposte più concrete e di maggior distacco rispetto alla precedente presidenza riguardano Iraq, Afghanistan, Siria ed Iran.
L’impegno del neopresidente prevede infatti una progressiva riduzione della presenza armata in Iraq a favore di un più consistente appoggio “umanitario” per la risoluzione della controversa situazione afghana. In parallelo è auspicabile un’apertura, probabilmente non incondizionata, del dialogo con Siria e Iran nel palcoscenico istituzionale internazionale.
Le nuove prospettive estere statunitensi si conciliano maggiormente con i principi alla base della cooperazione europea del precedente divide et impera, e possono divenire un grande stimolo al processo di “europeizzazione” del vecchio continente che ha subìto forti rallentamenti nel biennio 2003-2004, prima con la questione irachena e poi con l’allargamento. Trovare un punto di convergenza sulla proposta di maggiori aiuti in Afghanistan, è sicuramente più semplice e meno controverso che decidere un intervento armato al limite del diritto internazionale quale fu quello in Iraq. Inoltre, una riconsiderazione americana dei nuovi attori rilevanti sul panorama internazionale all’interno dei canali istituiti, può anch’esso giovare alle dinamiche interne all’Unione. Di riflesso, infatti, si darebbe ai membri più forti dell’Unione un impulso a prendere maggiormente in considerazione le posizioni dei nuovi membri, senza soggiogarli a una visione dell’Unione che si è andata definendo con “i quindici”.

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