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Scritto da nel Media e Cultura, Numero 53 - 16 Gennaio 2009 | 0 commenti

La triste Hanukkah

Non sarà particolarmente popolare, in questo periodo, il suggerimento che sto per dare ai miei lettori; ma oggi vorrei consigliare a chi ci avesse magari già pensato, di fare qualche ricerca sui propri antenati per verificare se esista un parente di origine ebraica. Io l'ho fatto, dopo che alcuni amici jewish-americani hanno commentato con interesse i miei tratti somatici, e finora non sono arrivata a nessuna conclusione: l'albero genealogico fino ai bisnonni non ha prodotto alcun frutto, e mi ci vorrà un po' di tempo per indagare più in là. Ad ogni modo, mi piaceva l'idea di fare parte del “popolo eletto”, se non altro per l'oggettiva considerazione che gli studi e l'intelletto hanno senza dubbio nella cultura ebraica.
Eppure non la conosco bene: ho letto la Bibbia poco e male, non sono mai stata in Israele, ma il mio sconsiderato amore per svariati personaggi, da Sigmund Freud a Billy Wilder a Fran Drescher, mi ha spinto perlomeno a scoprire qualcosa in più sulle tradizioni di questa etnia. Così, in attesa di svelare l'arcano, per ora mi sono limitata a festeggiare a modo mio la Hanukkah: non avevo un candelabro adatto, ma ho acceso un lume in più ogni giorno, riflettendo sul suo significato. A volte, iniziare un'opera con ciò che si ha, anche se non sembra abbastanza, può essere sufficiente: sarà il destino a provvedere al resto, o almeno ho interpretato così la leggenda delle otto candele.
Il motivo per cui consiglio a chi è interessato di scoprire un'eventuale radice ebrea, è che questo volo di fantasia mi ha permesso davvero, per la prima volta, di interrogarmi in profondità sulle cause dell'antisemitismo e sull'assurdità dell'Olocausto. Una cosa è studiarlo a scuola o commuoversi con i film: sono sempre stata appassionata di popoli perseguitati, e ad esempio ho reagito con profondo sdegno, da ragazzina, alla scoperta delle brutalità commesse dai Britannici sugli Irlandesi. Altra cosa, però, è immaginarsi di poter concretamente, per sangue, fare parte di un popolo perseguitato. Così ci si chiede: se davvero fossi ebrea? Se oggi arrivassero in casa mia, mi portassero via, mi spedissero ad Auschwitz o mi uccidessero, solo perché forse, da qualche parte, ho un antenato ebreo? Se io stessa venissi disprezzata e dileggiata perché mi piacciono i libri o perché detesto il consumismo, come se queste caratteristiche fossero prerogativa di una sola gente? Così ci si rende conto, ancora una volta, della stupidità dell'odio razziale e dell'importanza di combatterlo e rifuggirlo. Ma quest'ultima Hanukkah appena trascorsa mi ha offerto purtroppo un altro motivo di sdegno.
Non voglio qui inoltrarmi a fondo nella questione mediorientale perché, sinceramente, non sono abbastanza competente, ma vorrei scrivere a chiare lettere che, con tutta la simpatia che provo per i semiti e con tutto il piacere che mi darebbe lo scoprire di farne parte, se fossi ebrea mi vergognerei – e nella possibilità, mi sono vergognata – della furia bestiale con cui i bombardamenti israeliani hanno colpito la striscia di Gaza. Una delle più antiche civiltà, la cultura dei nostri libri sacri, si sta macchiando di delitti terribili, e il fine non giustifica i mezzi: questa la mia opinione. Pur nella mia ignoranza, credo di non sbagliare, anche se sarò una voce fuori dal coro, nel sostenere che le condizioni di vita dei palestinesi in Israele rappresentano una pesante violazione dei diritti umani universali e che qualsiasi Stato non potrebbe, in tali circostanze, aspettarsi un miglioramento dei rapporti politici e diplomatici, fino a quando non sarà garantita un'esistenza dignitosa a tutti gli abitanti dei propri confini.
D'altra parte vanno considerati due fattori: il primo, è che lo Stato di Israele non è “più cattivo” di quanto lo possa essere stato qualsiasi altro Stato coloniale, da Roma all'Inghilterra, appunto, all'Olanda, agli Stati Uniti: chi si ricorda più dei poveri Indiani d'America, sterminati fuori dal Nuovo Mondo con il genocidio di decine di milioni di esseri umani? Oggi chi si indigna contro Israele, chiamando in causa progetti sionistici universali o supposti tentativi di dominare il mondo, credo dimentichi il fatto che tale assurda pretesa è stata condivisa da qualsiasi personaggio storico all'apice della propria forza, da Cesare a Napoleone a Stalin. Rifiuto quindi categoricamente qualsiasi interpretazione demoniaca dello Stato di Israele in particolare, e suggerisco a tutti di valutare come forse, semplicemente, stiamo assistendo a un Paese che in questo momento, come tanti altri prima di lui, può permettersi di fare pressapoco ciò che vuole. Secondariamente, si ricordi che la legittimazione di Israele come “terra promessa” destinata agli ebrei è stata sancita con il concorso e l'approvazione delle Nazioni Unite, e pertanto sarebbe un errore storico addossare solo alla politica israeliana la responsabilità di una occupazione dei territori palestinesi, che certo non sono stati difesi da nessuno, a livello internazionale "occidentale". Perché? I maligni diranno che una zona di conflitto eterno è estremamente funzionale ai signori delle armi, e a questo proposito vorrei citare uno scritto di Albert Einstein del 1932*:

“La sete di potere della classe dominante è in ogni Stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale. Questo smodato desiderio di potere politico si accorda con le mire di chi cerca solo vantaggi mercenari, economici. Penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione e restrizione sociale, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un'occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro personale autorità.”

Prosegue ancora poco sotto l'autore:

“Ci troviamo subito di fronte a un'altra domanda: com'è possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere? (…) Una risposta ovvia a questa domanda sarebbe che la minoranza di quelli che di volta in volta sono al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le organizzazioni religiose. Ciò le consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse rendendoli strumenti della propria politica”.

Non sono certo una simpatizzante del terrorismo, ma credo che la disparità di mezzi e di danni causati da Hamas e dall'esercito israeliano sia abbastanza evidente: almeno a chi voglia guardare alla faccenda con un briciolo di onestà intellettuale. L'ultimo giorno della Hanukkah ho acceso le otto candele
finali con un po' di magone; la mattina dopo, uno dei maggiori quotidiani nazionali avrebbe intitolato online a caratteri cubitali: morto un israeliano; e sotto, in piccolo: oltre trecento vittime palestinesi. Queste vittime per molti giorni non hanno avuto un nome, non si è saputo se  fossero donne o bambini, eppure, senza prove o dati, ci sono state spacciate fin quando possibile come terroriste, tutte.

Aveva forse ragione Einstein? Chiedo ai giornalisti di professione, chiedo a chi ha davvero voce in capitolo, chiedo che ne so? A un Ezio Mauro o a un Magdi Allam o a una Fiamma Nirenstein, se mai dovessero leggermi: per favore, un po' di decenza. Lo sappiamo persino noi pubblicisti pivelli che alla fine, a parità di distanza geografica, anche a voler essere davvero cinici, dovrebbe essere il numero di morti a fare notizia.

* Il testo è tratto da una lettera aperta di Einstein a Freud, disponibile in italiano all'interno del volume: Freud, Einstein, “Perchè la guerra?”, Bollati Boringhieri, 1969.
** NOTA: per i lettori di origine ebrea che condividessero la mia opinione, segnalo la federazione “European Jews for a Just Peace”, che riunisce numerose associazioni internazionali in favore di una diversa politica in Palestina: www.ejjp.org

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