Taccuino di un viaggiatore inglese
Lascio esordire Satie.
Gymnopédies (3) for piano: No 1, lent et doloureux.
Sullo sfondo di un pianoforte ovattato iniziano a comporsi, incalzando lentamente, tenui pennellate acquerellate intinte di delicati colori, che vanno a disegnare atmosfere indefinite, fluttuanti nel reale ma terribilmente attratte dall’onirico, contaminate dal mito e da quella mediterraneità che fece innamorare Joseph Mallord William Turner del nostro Belpaese.
I freddi blu ben presto non riusciranno a rimanere indifferenti al calore degli ocra e degli aranciati, che tuttavia ci lasceranno sempre vagabondare in quell’atmosfera frizzantina con lievi spruzzate di favonio. D’altra parte, Turner per le montagne c’era passato durante il suo viaggio per giungere in Italia, valicando le Alpi immortalate magnificamente in quella splendida opera che mostra il “Passo del San Gottardo dal centro del ponte del diavolo”, acquerellato e raschiato su carta.
S’intravede già da questo suo paesaggio giovanile quello che sarà il suo intento: un meticoloso lavoro di detersione che bagni le figure rilasciando delle pure impressioni.
Un vero e proprio anticipatore.
Un romantico impressionista.
Ẻ nelle due ultime sale dell’esposizione che le pennellate si liberano andando ad evocare con tratti brevi, decisi e diluiti quella città così unica e magicamente irreale che solo Venezia può incarnare. Si alternano paesaggi sempre più velati che confluiscono nell’ultima opera del percorso costruito per l’allestimento: “Scena di montagna, Valle d’Aosta”, (1945). Una sfocata mescolanza di colori catturata in un dettaglio.
Quel gusto del particolare sembra paradossalmente richiamare una messa a fuoco tutta contemporanea, quel gusto del parcellizzato che tanto ci appartiene. Ovviamente si parla ancora di un ambito squisitamente pittorico.
Questa è solo un’impressione.
Si è chiusa il 22 febbraio la mostra che Ferrara ha voluto dedicare al pittore inglese e ai suoi viaggi in Italia, ospitando nel Palazzo dei Diamanti una selezione di visioni meravigliose suscitate dal nostro Paese. L’allestimento del tutto tradizionale, non stupisce neanche più lo spettatore, completamente assuefatto dall’anonimità della maggior parte delle esposizioni italiane.
Un grazioso contenitore di opere d’arte.
Imbarcazioni sul Bacino, con l'ingresso del Canal Grande, 1840.
Acquerello su carta, mm 221 x 321, Londra, Tate. Lascito dell'artista, 1856.
articolo molto molto bello…. ma non ho capito il passo sull'anonimità della maggior parte delle esposizioni italiane… in che maniera l'esposizione di Turner è stata penalizzata da questo?
Grazie!!!
… io penso che l'ambiente museale ha bisogno d'essere un pò rispolverato, riscoprendo anche l'arte del passato ma cercando delle connessioni con il pubbico odierno…
In un mondo dove i nostri sensi vengono ripetutamente bombardati, sarebbe interessante un maggiore coinvolgimento anche in questi posti che paradossalmente accolgono la creatività, le idee, ma che inevitabilmente vengono infettati dall'austero, dalla seriosità, finendo per divenire una passerella per chi ha voglia di darsi un certo tono.
Maggiore libertà, dunque, e maggiore fantasia negli allestimenti, potrebbero essere un ottimo modo per dare un aspetto più intrigante alle mostre.
Dunque, nessuna reale penalizzazione per Turner, semplicemente un invito ad un maggiore divertimento.
ohhh bene, questo è un bel dibattito!!!!!
anch'io, colto dalla sindrome di Alessandro baricco, mi lancio nel denunciare l'ipocrisia che spesso popola le gallerie d'arte nelle inaugurazioni..un salotto borghese dove è importante esserci, per incontrare, per farsi vedere, ma raramente per guardare..luoghi di elite e non di cultura divulgativa..d'latornde le gallerie (diversamente dei musei) sono lì per vendere e non per mostrare, rimanedo quindi soggette alle regole del mercato e non a quelle dell'arte.
i tuoi stessi pensieri, Fausta, li avevo all'arte fiera, allestita come una normale fiera, con stand in successione come gabbie per polli, senza un minimo riguardo alla cura degli spazi, degli allestimenti.
fin qui parliamo di gallerie..per i musei il discorso è più difficile.
credo sia solo del novecento il concetto di costruire un edificio pensandolo come museo..prima erano edifici nati con uno scopo (ospedali, palazzi ducali..) poi riallestiti e divenuti museo..
oggi credo ci sia una maggiore cura nel progettare e allestire un museo..un edificio progettato e costruito con il preciso fine di divenire una sala espositiva..questa differenza si respira nei musei di arte contemporanea, molto più che negli edifici riconvertiti, come il palzzo dei diamanti
boh..sarò riuscito a spiegarmi??
saluti
Bellissimo l'accostamento tra Satie e Turner.geniale anche l'idea di pensare ad una musica di accompagnamento nella lettura dell'articolo..l'arengo dovrebbe lanciaris nel podcasting
favoni?? what's favonio??
Il favonio è un vento di ponente caldo e secco che soffia anche sulle Alpi.
Per rispondere al tuo commento, Stefano, volevo precisare che la mia non era una considerazione critica nei confronti del luogo in se (lo spirito di riciclaggio anche per quanto riguarda gli edifici è sicuramente un'ottima iniziativa. Dopotutto basti pensare al Mambo, ad esempio, tanto per rimanere in ambito bolognese, attuale sede del museo d'arte moderna, nato da un ex forno del pane… ), ma semplicemente una provocazione ed un invito ai curatori delle mostre a rendere lo spazio dell'allestimento il più vicino possibile al sentire di ciò che viene esposto (quindi parlo anche di esposizioni temporanee come quella di Turner). Un'esortazione a sfruttare maggiormente la propria creatività per gli allestimenti che altrimenti paiono tutti così identici e freddi.
Secondo me il nocciolo della questione è che l'arte in Italia non è rivolta a tutti, ma solo ad una ristretta cerchia di persone. E' una cosa che artisti, curatori, galleristi e critici hanno ben presente quando svolgono la propria funzione. C'è da ammettere che non esiste un grande pubblico adeguatamente preparato che possa presentare istanze di rinnovamento agli addetti ai lavori. Quando abitavo a Valencia ricordo che le esposizioni erano sempre piene di gente: sia che si trattasse di artisti famosi o locali. C'era una maggiore cultura artistica. Istituti di credito e fondazioni organizzavano continuamente concorsi artistici a tema. I giovani artisti esponevano le proprie opere in bar e ristoranti che così arredavano gratuitamente il locale (oltre al vantaggio di poter cambiare periodicamente). La maniera in cui erano organizzate le esposizioni, le opere esposte, mi trasmettevano una vitalità che qui non ho quasi mai provato…
Per non parlare delle cose viste in Inghilterra o in Germania.
Tutto questo per dire che sono daccordo con Baricco, e alle sue proposte aggiungerei che bisognerebbe introdurre anche qui la norma per cui le banche devono investire una percentuale (credo che in Spagna sia l'1% o il 2%) del proprio profitto annuo su arte e cultura.
Complimenti!!!articolo suggestivo, ben scritto, accattivante e ricco di stimoli riflessivi…la sottile nota polemica sull'allestimento espositivo apre una serie di considerazioni sulla gestione degli spazi espositivi, su come rivalutare i luoghi che la storia ha svuotato da precedenti e originarie funzioni al fine di riconvertirli in “contenitori di opere”. Il problema credo non sia il “contenitore”, ma il modo in cui viene riempito. Che sia un'antica residenza nobiliare, un bar, una grotta( come avviene a Matera), questo poco importa, ogni luogo può dar vita a scenari di allestimento sempre nuovi e affascinanti, con linguaggi sempre più tesi ad avvicinare, o meglio ad accompagnare, il fruitore verso l'opera. Bisognerebbe accorciare questa distanza che a volte ci separa dall'arte, e credo che un giusto allestimento possa essere un'ottima guida, un supporto indispensabile per la sua comprensione. Chiaro che non bisogna sfociare in un volgare senso di ricerca sfrenata verso una stucchevole e sterile spettacolarità(come più spesso avviene nell'arte contemporanea, sempre a caccia di espedienti di forte impatto tesi a stupire e a suggestionare), la priorità dell'opera non deve essere messa in discussione e la sua pura essenza mai contaminata.