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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 1 commento

California Dreamin'

Sono passati quasi cinquant'anni da quando i Dik Dik portarono in Italia le musiche dei Mama's and Papa's, facendo sognare a milioni di italiani la Terra della Speranza, il suo sole, i suoi tramonti, le sue libertà ed il suo benessere.
Oggi la California, la nona economia del mondo nella classifica del PIL, è in ginocchio e rischia di dichiarare fallimento. Le cifre della crisi sono apocalittiche: il tasso di disoccupazione è al 10.5% della forza lavoro, i senza tetto sono quasi un milione, il deficit pubblico ha superato i 42 miliardi di dollari ed il governo non ha risorse per rispondere alla crisi economica e sociale.
Il caso californiano è l'emblema della attuale crisi economica che gli USA stanno affrontando, e su di esso si sono recentemente concentrate le attenzioni di molti analisti: la caduta della California, si è detto, è la caduta degli Stati Uniti e l'intera Federazione può vedere la luce fuori dal tunnel della recessione solo se il suo Stato economicamente più importante troverà la strada della ripresa.
Non è la prima volta che una dura recessione colpisce la California. Nei primi anni '90 la fine della guerra fredda portò il governo federale a tagliare le spese per la difesa, con il risultato che i tagli all'occupazione (tra dipendenti dell'esercito e dell'indotto) furono di svariate centinaia di migliaia di lavoratori. La crisi di oggi ha le sue origini allora, quando molti dei capitali prima impegnati nel complesso militare-industriale nel sud della California (ed in particolare nell'industria aero-spaziale) si trasformarono in capitali di ventura alla ricerca di impieghi profittuosi. Per trovarli non dovevano andare lontano: la zona della Silicon Valley stava conoscendo una seconda giovinezza grazie allo sviluppo di Internet. I buoni risultati ottenuti dai primi investimenti generarono aspettative rialziste su tutti i titoli delle cosiddette dot-com companies ed ai capitalisti di ventura californiani si unirono quelli della East Coast: era nata la bolla della New Economy.
La bolla ha generato ricchezza con tassi di crescita senza precedenti, incrementando il benessere di tutto il Paese e facendo dimenticare le sofferenze patite negli anni precedenti. Ma una bolla, in quanto tale, era destinata a scoppiare e così il grande sogno degli anni '90 si era già infranto nel 2001.
Ai capitalisti di ventura si presentò però un'altra ghiotta opportunità: i prezzi degli immobili stavano salendo vertiginosamente (anche grazie alla politica di bassi tassi di interesse perseguita dalla Fed di Alan Greenspan) e quello del mattone sembrava un business molto più sicuro del fumoso mondo di Internet. Nel periodo 2001-07 più della metà dei nuovi posti di lavoro furono creati nel settore immobiliare, in quello delle costruzioni, ed in quello finanziario legato ai mutui ipotecari. Lo scoppio della bolla immobiliare è oramai ben conosciuto dai più, ed è stato già trattato sull'Arengo, dunque non mi dilungo su di esso. In sintesi: come la California aveva beneficiato più di altri Stati della speculazione immobiliare, così essa è stata colpita maggiormente dalla successiva crisi.
Ciò che però rende il caso californiano più grave di altri, è che alla crisi finanziaria ed economica ha fatto seguito una potente crisi fiscale. La tassazione in California è fortemente progressiva e si basa sui contributi di una élite relativamente piccola della popolazione: nel 2004 il 3% della popolazione contribuiva con il 60% del gettito fiscale. Il reddito di questa élite proviene quasi totalmente da rendite da capitali, e queste si sono ridotte fortemente con la crisi finanziaria: come risultato le entrate fiscali sono crollate ed il welfare state californiano è diventato insostenibile. Dal lato dei costi, d'altra parte, il governo di Sacramento ha da molti anni favorito i trasferimenti piuttosto che gli investimenti pubblici, per favorire il ciclo elettorale più che il ciclo economico. Così si sono raggiunti i 42 miliardi di dollari di deficit che hanno aperto la voragine del rischio di insolvenza. Il governo si trova ora nella necessità di operare un poderoso taglio fiscale che manderà a casa più di 20mila dipendenti pubblici (compresi insegnanti e personale sanitario), e che con tutta probabilità peggiorerà ulteriormente le condizioni economiche dello Stato. Il rischio è quello che si instauri un circolo vizioso che leghi un taglio fiscale ad un peggioramento economico, e dunque ad una riduzione del gettito che imponga un ulteriore taglio di spesa pubblica, e così via.
La soluzione sarebbe quella di operare una riforma fiscale che preveda tanto una riduzione delle spese quanto un allargamento delle fonti di gettito (per esempio aumentando le tasse sui redditi da lavoro o le tasse indirette), ma qui emerge un ulteriore problema: lo stallo che caratterizza gli equilibri politici californiani da quasi dieci anni. Nel 2000 i distretti elettorali sono stati ridisegnati nei loro confini e resi così relativamente sicuri per entrambi i partiti politici principali (Democratici e Conservatori). Il fatto che i seggi incerti siano oramai pochissimi ha spostato il fulcro del processo decisionale sulle elezioni primarie: sono gli elettorati delle primarie (spesso più ideologici dell'elettore medio) che ora decidono coloro che siederanno nel Parlamento californiano in entrambi gli schieramenti. Come risultato, i due schieramenti in Parlamento sono composti da estremisti di opposte fazioni: i Democratici si oppongono ai tagli di spesa, i Repubblicani non vogliono sentir parlare di aumenti delle tasse. A questo si aggiunga che il bilancio annuale deve essere approvato dai due terzi dei rappresentanti del popolo californiano, e che il ruolo di mediatore tra i due partiti è nelle mani di un improbabile attore di film di azione di serie B dal nome di Arnold Schwarzenegger, e questo spiega come il bilancio 2008 sia stato approvato solo a fine febbraio 2009, ed i flussi di investimenti si stiano ritirando in tutta fretta dalla terra del sogno cantata dai Dik Dik.
Le sventure californiane potrebbero sembrare del tutto particolari e uniche, con il loro mix di elementi strutturali comuni a tutti gli USA e fallimenti politici ed istituzionali locali, ma la lezione che viene da Sacramento può e deve essere generalizzata. Dalla prima recessione degli anni '90, lo Stato della West Coast non è riuscito a rimettersi su di una strada di uno sviluppo sostenibile e solido ed è diventato quello che Paul Krugman chiama una “bubble economy”. Dallo scoppio delle bolle speculative si esce, generalmente, grazie agli interventi pubblici di salvataggio dell'economia, ma essi hanno dei limiti che sono stati toccati in California: mano a mano che le crisi mordevano l'economia il governo è intervenuto sempre più massicciamente sul welfare state e sempre meno sugli investimenti pubblici. Come risultato il potere del moltiplicatore fiscale si è ridotto sempre più, il deficit si è allargato, ed il sistema è diventato sempre più insostenibile. Il messaggio per l'amministrazione Obama è chiaro: tra i trasferimenti a pioggia e gli investimenti il governo dovrebbe favorire i secondi, senza ascoltare chi teme per l'avvento del “socialismo” negli Stati Uniti. Il governo federale sta generando enormi deficit e la crisi potrebbe necessitare di maggiori interventi pubblici per almeno un anno. Soltanto spingendo sugli investimenti e riducendo al minimo gli sprechi della macchina pubblica gli USA potranno evitare di finire nella trappola californiana.

1 Commento

  1. Se i film d'azione di Schwarzy sono di serie B, quali sono quelli di serie A?

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