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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 0 commenti

Fondi sovrani: sciacalli o redentori?

Qualche osservatore economico, specie in Italia, paventa l'idea che anche i fondi sovrani con ben 3,2 trilioni di dollari pronti all'uso siano entrati profondamente in crisi tale da mettere a repentaglio tutte quelle risorse finanziarie millantate dai governi occidentali – dato che la trasparenza non è nelle abitudini dei fondi sovrani – a volte per tranquillizzare le borse su alcune discutibili operazioni di salvataggio e a volte invece per mettere in guardia contro eventuali atti di sciacallaggio da parte di questi fondi nei confronti di banche o imprese svalutate dalla crisi.

Primo, che cosa sono i fondi sovrani? Sono fondi di investimento di proprietà statale e utilizzano i loro surplus fiscali o commerciali per investire in strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, etc) denominati in valuta straniera. La caratteristica principale di questi fondi è di investire in un orizzonte temporale di lungo periodo e di andare alla ricerca di rendimenti elevati associati a un grado di rischio tollerante. Di solito originano in Paesi non democratici e il loro grado di trasparenza è inversamente proporzionale al livello di sviluppo istituzionale del Paese stesso. I primi dieci fondi sovrani al mondo hanno investito risorse pari a 2,5mila miliardi di dollari, nel complesso si può stimare che tutti i fondi sovrani attivi al mondo provenienti per lo più dall'Asia e dal Medio Oriente arrivino a detenere complessivamente oltre 3,2mila miliardi di dollari. Tali risorse finanziarie risultano modeste se comparate a quelle del mondo bancario o assicurativo, ma sono concentrate in mano a circa 20 soggetti nel mondo che decidono le sorti delle economie occidentali spesso sulla base di accordi politici sottobanco.

Secondo, dopo avere investito massicciamente negli Stati Uniti e in Europa i fondi sovrani sono davvero in crisi? Nonostante le perdite subite a causa dei massicci ingressi nei colossi finanziari statunitensi – si può stimare ad esempio che dei 900 miliardi di dollari investiti il fondo sovrano di Abu Dabi ne abbia persi già un terzo con Citigroup – il calo del prezzo del petrolio da 147 dollari (luglio 2008) a 50 (aprile 2009) – che alimenta oltre il 60% delle riserve complessive di questi fondi – e il calo delle esportazioni cinesi – da cui origina un terzo delle riserve -, il rapporto Preqin 2009 rivela come a livello aggregato gli investimenti dei fondi sovrani siano cresciuti del 60%, dai 2 trilioni di dollari del 2007 ai 3,2 trilioni ad oggi impiegati. Certamente i fondi stessi hanno risentito della forte turbolenza finanziaria internazionale accumulando considerevoli perdite dovute alle forti svalutazioni azionarie e obbligazionarie, tuttavia nel corso dei dodici mesi precedenti il numero di veicoli istituiti a livello statale non è diminuito. Facendo parlare i numeri, dunque, non è possibile parlare di crisi vera e propria per i fondi sovrani.

Infine, ma non per ultimo, quale sarà il loro ruolo nell'economia mondiale? Fino ad oggi la strada perseguita dai fondi sovrani è stata duplice: da un lato investire le risorse, spesso create in Paesi non democratici, a vantaggio dei Paesi sviluppati in cambio di protezioni (ad esempio militari, soprattutto nel caso degli Stati Uniti); dall'altro confidare nella finanza come unico segmento di investimento capace di far registrare un ritorno in termini di plusvalenza molto elevato a prescindere dal rischio. Tutti i fondi sovrani hanno risentito favorevolmente di un approccio semi-liberista da parte dell'Europa e degli Stati Uniti, solo in Francia e Germania è stato possibile apprezzare rispettivamente nel 2005 e nel 2008 una reazione legislativa per sottoporre ad autorizzazione del governo le acquisizioni da parte di investitori al di fuori dell'Europa che comportino un ingresso rilevante nei settori considerati sensibili a livello nazionale. Il ruolo dei fondi sovrani sull'economia mondiale sta però cambiando enormemente. Le risorse finanziarie accumulate mediante contributi fiscali o pensionistici (caso Singapore e Norvegia), petrolio o gas (caso Emirati Arabi e Russi), ed esportazioni (caso Cina) verranno destinate ai Paesi occidentali solo attraverso solidi progetti di investimento industriale a lungo termine. Inoltre, rispetto alle operazioni all'estero verranno maggiormente privilegiati gli investimenti domestici a sostegno delle opere infrastrutturali (nei paesi in via di sviluppo) e del rilancio dei settori produttivi (nei paesi considerati sviluppati). A tal proposito il governo francese ha istituito nell'ottobre 2008 un fondo sovrano strategico da 20 miliardi di euro per sostenere le imprese nazionali colpite dalla crisi mondiale e per proteggerle da eventuali atti di sciacallaggio. Un futuro da redentori?

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