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Scritto da nel Internazionale, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 0 commenti

La moda passa, Obama resta

Obama che stringe la mano al bobby e alla Regina Elisabetta, che atterra all'aeroporto di Stansted (noto come l'aeroporto dei voli low cost) per evitare di ingolfare gli aeroporti della city, che per il suo primo volo intercontinentale sceglie di far salire sull'”Air Press One” (il Boeing 777 che la Casa Bianca organizza per gli inviati) le televisioni turche, i giornalisti di Al-Jazeera insieme a quelli del 'Chicago Tribune' (il giornale locale della città del presidente). Obama che vuole chiudere Guantanamo, rendere illegale la tortura e regolamentare il mercato.
Il presidente statunitense non ha finora perso alcuna occasione per palesare agli americani e al mondo intero il suo stile eclettico e multiforme di chi è cresciuto tra diverse culture. Con il sorriso sexy-glamour, il muoversi svelto e agile, lo sguardo curioso, l'uso potente e originale della parola Barack Obama non ha tardato a far capire ai suoi elettori che lui era la più significativa novità politica del nostro tempo.
Ma due sono gli eventi che hanno mostrato con evidenza agli americani e al mondo una violenta inversione di rotta nel modo di fare politica: il messaggio augurale inviato all'Iran in occasione dei festeggiamenti del capodanno persiano e il G20 di Londra.
È noto che l'Iran avrà un ruolo decisivo durante la presidenza di Barack Obama per decidere le sorti dello scacchiere mediorientale e 'riportare tutti a casa', dall'Iraq all'Afghanistan. Obama decide di far passare la via della diplomazia da un video inserito su YouTube. Per inviare gli auguri ufficiali al popolo iraniano e al suo governo sceglie infatti un canale comunicativo del tutto inconsueto: il video. La stessa modalità con cui nel corso del 2006 Al Qaeda ha combattuto una sorta di guerra con l'occidente fatta di immagini violente e shockanti di giornalisti e volontari rapiti, di soldati ammazzati, di volti incappucciati. Il canale prediletto da Bin Laden e al-Zarqawi per minacciare nuovi attacchi terroristici all'occidente, mettere in guardia i paesi Islamici non sufficientemente allineati e incitare il popolo Islamico a combattere la 'guerra santa'.
Con un solo intervento massimamente calibrato e di straordinaria potenza comunicativa Barack Obama è riuscito a determinare un 'new wave' nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l'Iran. Il messaggio, sottotitolato in farsi, chiede di superare 30 anni di tensioni e dissensi, di dialogare per stabilire relazioni di mutuo rispetto. Teheran non poteva che accogliere con favore cotanta dimostrazione di apertura.
In occasione del controverso G20 di Londra il presidente americano torna a far notare la freschezza e l'efficacia del suo stile. Stavolta è il contrasto che salta agli occhi: nella sua battaglia per combattere la crisi Barack Obama è decisamente più efficace dei leader del vecchio continente. Il motivo è semplice, la sua strategia è meno ortodossa. Eletto per combattere la recessione, il presidente statunitense ci mette tutta l'energia e la vivacità intellettuale di un uomo che ha vinto perché voleva rompere con otto anni di liberismo di George W. Bush. Obama ha iniettato nell'economia americana una cifra pari all'8% del Pil e nello stesso tempo ha voltato le spalle ai precetti dei fanatici della globalizzazione. Questo ha fatto rivedere le stime per il 2009 al FMI che prevede dei risultati per l'economia americana migliori di quella europea. Nonostante tutto Obama si è presentato al G20 come il 'kid' che ha molto da imparare, ma è poi riuscito a dirimere uno dei passaggi cruciali del vertice. Davanti allo scontro tra il francese Sarkozy e il cinese Hu Jintao sulla terminologia da usare in riferimento alla lotta ai paradisi fiscali, il trascinatore di folle di Chicago ha mostrato grandi abilità di mediatore convincendo l'uno e l'altro a un testo di compromesso che non facesse fallire il G20. La responsabilità prima di tutto sembra essere stato il suo motto.
Consapevole che volente o nolente il potere del mondo non è più completamente nelle sue mani, ha deciso di impostare pragmaticamente la sua politica estera sulla collaborazione. “In un mondo così complesso – ha detto infatti in conferenza stampa – la leadership americana va esercitata forgiando partnership invece che dettando soluzioni. Dobbiamo ascoltare, mostrare una certa umiltà, capire che non sempre noi abbiamo la risposta migliore”. Più di così non poteva fare per dimostrare che c'è un nuovo corso alla Casa Bianca, sia in termini di stile personale che di prospettiva politica. Benvenuto Mr. President.

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