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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 0 commenti

Man in the dark: il mondo ombra di Paul Auster

E il folle mondo viene avanti rotolando

- Rose Hawthorne –

Cosa sarebbe successo se George W. Bush non avesse vinto le elezioni presidenziali nel 2000? Se l'11 settembre non fosse mai avvenuto? Se l'esercito americano non avesse invaso l'Iraq?

August Brill ha settantadue anni ed è un critico letterario in pensione costretto a letto da un incidente stradale. Tormentato dall'insonnia, trascorre le notti inventando storie, costruendo nella sua mente mondi paralleli che lo aiutano a tener lontani i fantasmi della vita reale.

La casa di August Brill è una casa in un lutto, un “Castel Disperazione” le cui mura sono fatte di malinconia e sofferenza: la morte della moglie, il fallimento del matrimonio della figlia, l'uccisione dell'ex fidanzato della nipote. Essa, tuttavia, rappresenta un porto sicuro in cui i suoi abitanti hanno trovato rifugio, un luogo lontano dalla frenesia del reale in cui riappropriarsi del tempo, elaborare il lutto e prepararsi a compiere quel lungo e aspro cammino che porta, infine, alla rinascita.

“Castel Disperazione” si trova a Battleboro, nel Vermont, e forse non è casuale la scelta di Paul Auster di far risiedere il protagonista del suo ultimo libro in questa piccola cittadina che nel gennaio 2008 si è ufficialmente dichiarata contraria alla politica di Bush e Cheney. Elemento anticipatore della storia che verrà e allo stesso tempo chiaro simbolo di un'ideologia che l'autore americano non si è mai preoccupato di nascondere.

L'intero romanzo si svolge nel giro di una notte, una notte come tante, in cui per non fare i conti con i ricordi, Brill inventa la storia del caporale Owen Brick: un trentenne, prestigiatore di professione, che viene d'un tratto trascinato in un mondo parallelo, o per usare le stesse parole di Auster, un “antimondo”. In questo “mondo ombra” alcuni Stati, tra cui lo Stato di New York, si dissociano dalla vittoria di George W. Bush alle elezioni del 2000 e si dichiarano indipendenti, generando così una società in cui il crollo delle Torri Gemelle non è mai esistito e la guerra in Iraq è stata soppiantata da una guerra civile tra Stati Federati e Indipendenti che per anni dilania il paese.

In un'intervista al quotidiano La Repubblica, Paul Auster ha dichiarato: “io sono convinto che Al Gore sia stato eletto e la presidenza gli sia stata rubata. Per alcuni versi viviamo oggi in un mondo parallelo, e nella storia vera oggi Gore starebbe terminando il suo secondo mandato e non avremmo invaso l'Iraq”. Man in the Dark è uno spunto di riflessione, la messa in scena di uno degli infiniti mondi possibili, poiché come suggerisce lo stesso August Brill: “Non c'è un'unica realtà (…). Ce ne sono molte. Non c'è un unico mondo. Ci sono molti mondi, e tutti continuano in parallelo l'uno all'altro, mondi e antimondi e mondi-ombra, e ciascun mondo è sognato o immaginato o scritto da qualcuno in un altro mondo. Ciascun mondo è la creazione di una mente”. Inevitabilmente dunque la fine di un mondo coincide con la fine della mente che l'ha ideato, o per meglio dire con la morte del suo creatore, per questo Owen Brick non avrà altra scelta che uccidere l'uomo nel buio.

Accanto alla vicenda-finzione del giovane prestigiatore, corre quella reale di August Brill tormentato dai rimorsi, dai ricordi, dal lutto. I due livelli narrativi s'intrecciano fra loro, si mescolano, si fondono e nonostante il vecchio Brill faccia di Owen Brick il suo mezzo di fuga, non potrà evitare, infine, di scontrarsi col reale. Poiché nella mente l'amaro ricordo si può addolcire, il rimorso diventare più lieve, il rimpianto affievolirsi fino quasi a darci l'illusione di scomparire, ma non si può mai definitivamente sfuggire dai fatti della vita, dalla loro intima essenza, perché essi ritorneranno, ancora, e poi ancora sino a quando non saremo costretti ad affrontarli. Così August Brill, quando con le prime luci dell'alba è raggiunto dalla nipote Katya, non può più fuggire e messa da parte la storia di altri, non gli rimane che raccontare la propria. Nel lungo narrare di August, nel ripercorrere le tappe della sua esistenza, emerge fra le altre la figura di Titus Small che in Iraq viene rapito e giustiziato, figura emblematica di quell'America reale coinvolta in “una guerra fasulla, un imbroglio, il più grave errore politico della storia americana”.

La morte di Titus sarà immortalata in un video, diffuso su internet, che Katya insieme ai suoi familiari deciderà di non risparmiarsi. “Lo sapevamo”, dice Brill, che quel video “ci avrebbe ossessionato per il resto della vita, eppure sentivamo chissà come di dover stare vicino a Titus, di tenere gli occhi aperti sull'orrore per amor suo, di inspirarlo in noi e tenercelo dentro – in noi, quella morte sventurata e solitaria, in noi la crudeltà che gli avevano inflitto in quegli ultimi momenti, in noi e nessun altro, per non abbandonarlo al buio senza pietà che lo aveva inghiottito”. Condividere la morte di Titus, non chiudere gli occhi di fronte alla tortura, a quel corpo mutilato dai colpi della scure, significa restituire la dignità a chi ne è stato privato. Significa restituire un po' di luce a tutti gli “Uomini nel buio”, che questa America, una delle tante possibili, ha dimenticato.

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