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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 0 commenti

Mr. Obama e la riforma sanitaria: yes, he can!

45 milioni di americani al momento non possiedono un'assicurazione sanitaria perché eccessivamente costosa. Tra questi vi sono 8 milioni di bambini.
Questi i dati con cui inizia il documento che traccia il piano dell'amministrazione Obama per la riforma del sistema sanitario statunitense[1], uno dei punti chiave della campagna elettorale del nuovo Presidente[2].
Cifre da terzo mondo. Soprattutto per un Paese alla testa dell'economia mondiale e che si definisce democratico per eccellenza, con la D maiuscola.
L'idea che ci fosse qualcosa di estremamente sbagliato in queste cifre non è nuova e più di una volta si è tentato di cambiare gli ingranaggi del sistema per dare a tutti i cittadini statunitensi la possibilità (o il diritto?) di curarsi. Ma tutto si è sempre concluso con un sonoro flop.
Ci riprova adesso il 44esimo Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, il 'presidente-ragazzo'[3].
Gli obiettivi principali del piano sanitario della nuova amministrazione sono quelli di diminuire i costi del sistema sanitario tramite delle iniezioni di efficienza nel sistema (che al momento si stima crei degli sprechi tra i 50 e i 100 miliardi di dollari l'anno), di assicurare la copertura sanitaria a tutti i cittadini e di promuovere la salute pubblica. Per quanto riguarda questi ultimi due punti, il piano prevede l'implementazione di un sistema che dia ai cittadini la possibilità di scegliere tra l'assicurazione sanitaria fornita dai datori di lavoro e quella statale, che attualmente è obbligatoria solo per i dipendenti del governo federale.
Dopo il preoccupante silenzio che ha caratterizzato le prime settimane successive all'insediamento alla Casa Bianca[4], finalmente i primi passi per la realizzazione di questi obiettivi sono stati compiuti: innanzitutto Obama ha nominato il White House Office of Health Reform, organo di coordinamento tra l'amministrazione centrale e i governi locali nella definizione e nel raggiungimento degli obiettivi della riforma. In seguito si è passati alle prime vere e proprie misure legislative: una legge del 5 febbraio ha esteso la copertura sanitaria a quattro milioni di bambini finora non assicurati.
Anche altri elementi fondamentali della riforma sono già diventati legge: ad esempio, nel cosiddetto 'Stimulus Bill', il disegno di legge che mira a risollevare l'economia americana dopo la batosta provocata dalla crisi economica in corso, contempla lo stanziamento di 1.1 miliardi di dollari per la costituzione di un comitato che selezioni i trattamenti sanitari più efficaci, nonché l'implementazione di un sistema di cartelle cliniche elettroniche che facilitino la condivisione dei dati tra ospedali ed istituzioni. Infine, a fine febbraio l'amministrazione ha annunciato la creazione nel budget di un “reserve fund” di 634 miliardi di dollari destinati alla riforma sanitaria.
Ma nonostante questi primi incoraggianti 'mattoncini', non si possono non presagire le barriere politiche che potrebbero essere erte contro la costruzione di un 'edificio legislativo' robusto e completo.
Innanzitutto, la riforma del sistema sanitario è 'in concorrenza' con altri punti fondamentali dell'attuale agenda politica: tra questi la crisi economica, l'Iraq e l'Afghanistan, e la politica energetica.
In secondo luogo, si potrebbe opporre che questo non sia il momento migliore per raccogliere risorse economiche sufficienti per finanziare la riforma. Ad esempio, da più parti si chiede dove Mr. Obama troverà la copertura finanziaria per la manovra, in un momento in cui molti altri settori dell'economia hanno bisogno del sostegno finanziario dello Stato. Il deficit pubblico è già alto e si stima che la manovra sanitaria richieda 104 miliardi di dollari, che andrebbero a pesare ulteriormente sul bilancio statale.
Al quesito, tuttavia, è già stata trovata una risposta. Per esempio, la legge del 5 febbraio verrà finanziata con l'aumento delle tasse sul tabacco, che ci si aspetta generi risorse per 30 miliardi di dollari. Inoltre, Obama ha dichiarato che la riforma sarà parzialmente pagata tramite l'abolizione delle agevolazioni fiscali introdotte dall'amministrazione Bush per i cittadini con redditi al di sopra dei 250.000 dollari l'anno.
Dal punto di vista strettamente politico, bisogna poi osservare che Obama non gode delle supermaggioranze parlamentari che aveva, ad esempio, Roosevelt. Ciò fa prefigurare che la discussione in Congresso non sarà poi così 'smooth'. Specialmente se si tiene conto della resistenza che opporranno i Conservatori, ampiamente coadiuvati e sostenuti dalle numerose lobbies del settore che hanno molto a cuore i propri profitti.
Last but not least, tra i promotori della riforma stessi non c'è consenso sulla linea che questa dovrebbe seguire. Nonostante molti siano d'accordo che il sistema così com'è non funziona, perché iniquo e costoso, alcuni ipotizzano che parte della copertura sanitaria venga pagata dai datori di lavoro, mentre altri propugnano un'assicurazione interamente statale, sulla scia dei modelli europei.
Insomma, il tema è molto delicato ed il rischio di fallimento molto alto. E questo l'amministrazione Obama lo ha ben presente. Il fiasco che fece Bill Clinton nel 1993 è ancora vivido nella mente di tutti.
Ed ecco perché per il momento ci si è limitati a delle misure marginali che non fossero troppo impopolari, come la promozione di programmi di prevenzione delle malattie legate allo stile di vita (colesterolo, malattie cardiovascolari etc.) e le altre misure di contenimento dei costi cui si accennava prima, e perché si sono tenuti toni decisamente cauti su ogni altra proposta più esaustiva e generale.
È chiaro, dunque, che la realizzazione di una riforma del sistema sanitario negli Stati Uniti é molto difficile.
Ma non impossibile.
La crisi economica può rivelarsi, infatti, un'occasione politica straordinaria per Obama.
Con l'aumento della disoccupazione, incrementerà anche il numero di cittadini senza assistenza sanitaria (si stima che 1 milione di persone si aggiungeranno a quelle che già non l'avevano prima). Ciò significa che la crisi in America non è solo economica ma, come giustamente sottolinea Paul Krugman, anche e soprattutto, sanitaria. Ciò potrebbe far sì che il tema diventi altamente sensibile dal punto di vista mediatico[5]. Questo potrebbe, a sua volta, dare legittimazione politica per un'azione a livello federale.
Non solo: la crisi finanziaria ha già creato il precedente per dare l'autorizzazione all'intervento del governo nell'economia. La sanità, pertanto, potrebbe essere un altro settore nel quale è richiesto il sostegno statale per dare respiro alle famiglie e alle imprese in un momento di grave difficoltà. Ad esempio, lo Stato potrebbe farsi carico delle assicurazioni sanitarie finora pagate dalle imprese ai propri lavoratori oppure fornire incentivi fiscali alle piccole imprese che forniscono assicurazione sanitaria (proposta questa già avanzata da alcuni senatori Democratici).
In altre parole, la riforma sanitaria potrebbe far parte della più ampia manovra economica di ripresa dalla crisi.
In sintesi: il messaggio è che la recessione potrebbe abbassare le barriere politiche. Obama dovrebbe, quindi, approfittare di questo momentum e agire in maniera rapida in modo da non ripetere proprio l'errore che fece cadere Bill Clinton, il quale presentò il testo della riforma sanitaria in Congresso quando ormai l'urgenza era passata e l'economia dava nuovamente segnali positivi.
Ma la ferma attuazione di una riforma sanitaria che restituisca a tutti cittadini statunitensi il loro diritto alla salute dovrebbe nascere anche dalla volontà di marcare la discontinuità politica con l'amministrazione precedente, per realizzare davvero ciò che Obama ha promesso in campagna elettorale, ciò per cui milioni di americani l'hanno votato, nella speranza di avere una vita migliore e degna di essere vissuta.



[1]
[2] Obama in campagna elettorale definì la riforma un dovere morale e fiscale.
[3] Così l'ha definito Barbara Spinelli, La Stampa, 21 gennaio 2009.
[4] Paul Krugman, Health Care Now, NYTimes, 30 gennaio 2009.
Prima del voto, Obama aveva auspicato l'incremento dei finanziamenti sia per il President's Emergency Plan for AIDS Relief (PEPFAR) pari ad un miliardo di dollari, sia per il Fondo Globale per la lotta all'AIDS, Tibercolosi e Malaris (GFATM).
[5] Jonathan Oberlander, Great Expectations – The Obama Administration and Health Care Reform, in The New England Journal of Medicine, 22 Gennaio 2009.

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