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Scritto da nel Internazionale, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 1 commento

Obama: il Presidente degli Stati Uniti d'Occidente?

Se i cittadini Europei avessero potuto votare alle elezioni americane nel 2008, i sondaggi del tempo erano concordi nel sostenere che Obama avrebbe trionfato in Europa, trainato in gran parte dalla sua visione di una nuova politica internazionale, fondata sul multi-lateralismo, il dialogo ed il rispetto reciproco. Anche se la politica del primo presidente nero ha toccato e dato slancio a temi probabilmente più cari all'opinione progressista di questa parte dell'Atlantico, è indubitabile che la rinnovata capacità americana di fornire una leadership salda nelle questioni globali più critiche appare favorevole un po' per tutti. Soprattutto per un attore privo di una propria chiara strategia globale come l'Unione Europea, pericolosamente incline a reagire all'iniziativa degli Stati Uniti come opzione di default rispetto agli irreconciliabili interessi particolari dei propri membri.

Già alcuni commentatori, all'indomani delle elezioni americane, sottolineavano come per l'Europa la perdita di un chiaro contro-modello come Bush in opposizione al quale costruire le proprie posizioni distintive – cambiamento climatico, diritti umani, dialogo con i Paesi islamici – avrebbe finito per costituire una sfida più intricata del previsto: primo, per il rischio di vedere la propria agenda globale assorbita e guidata dagli Stati Uniti, secondo per le difficoltà di sfuggire alle responsabilità di decisioni prese in collaborazione.

L'impegnativo tour affrontato all'inizio di aprile da Obama in Europa, con il Vertice della NATO ed il G-20 di Londra, la visita in Turchia, gli incontri bilaterali, ha cominciato a destare le prime avvisaglie che queste difficoltà di autonomia per l'UE siano reali. La reintegrazione della Francia nel comando NATO ricompatta l'Alleanza Atlantica e costringe l'Europa a trovare forti motivazioni interne per lo sviluppo di una propria forza difensiva che non sia meramente funzionale alle strutture NATO. Lo stesso Obama ha dovuto precisare ufficialmente al Vertice di Praga, gli Stati Uniti non vogliono essere “patron ma partners dell'Europa”: è evidente che il timore che l'inverso stia accadendo circola in qualche capitale.

Mentre la decisione sul potenziamento della missione in Afghanistan, in cui gli USA intendono spiegare 21mila uomini in più fin dai prossimi mesi e chiedono all'UE un impegno proporzionale, si profila come un primo banco di prova importante per la misurazione delle divergenze tra i due lati dell'Atlantico, la sponsorizzazione spassionata del Presidente Obama per l'entrata della Turchia nell'Unione Europea pungola l'orgoglio continentale: l'autonomia decisionale e politica degli Europei su una questione tanto delicata per i propri equilibri interni è imprescindibile. Le motivazioni strategiche di Obama sono tanto forti quanto il rispetto della volontà popolare: se la Turchia entrerà in Europa, saranno gli stati Europei a deciderlo. Non sembra ragionevole?

Nel frattempo, la paziente tessitura da parte di Obama di una rete di dialogo e collaborazione con Russia e Cina, a prescindere dai risultati concreti che si otterranno nel lungo periodo, rappresenta un'enorme evoluzione della geopolitica contemporanea verso un futuro assetto inevitabilmente multipolare – e c'è già chi parla di un reale G-2, tra Stati Uniti e Cina. Peccato che gli stati Europei in questo sviluppo si stiano ritagliando un ruolo alla meglio ancillare, nonostante le voci grosse di Francia, Germania e Inghilterra: l'era della spartizione tra americani ed europei della presidenza di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale è prossima a finire, con il potenziamento di competenze ed autorità previste per il secondo dal G-20 di Londra. Tra giganti da qualche centinaia di milioni di abitanti a testa, o l'Unione Europea assume un proprio ruolo significativo come tale – dunque potere contrattuale autonomo -, o il peso dei suoi valori ed interessi saranno definitivamente dipendenti dalle convergenze con la Casa Bianca.

La fine dell'era Bush ha rapidamente cancellato dalla memoria degli Europei la faccia più cattiva delle relazioni transatlantiche. Il presidente Obama persegue obiettivi internazionali su cui l'Europa facilmente converge: ma sono gli obiettivi degli Stati Uniti. Per quanto l'agenda di Obama possa piacerci – e lui faccia di tutto perché questo avvenga -, saranno gli elettori americani la sua principale preoccupazione, quello che loro pensano su terrorismo, Iran, Israele, cambiamento climatico, commercio mondiale. Ai cittadini europei non rimane che esprimere un gradimento esterno alla politica Presidente degli Stati Uniti d'Occidente, nella illusione che la civiltà democratica transatlantica sia un'entità di valori ed interessi comuni.

D'altra parte, sono cinquanta anni che va avanti così, perché disturbarsi a cambiare a nostra volta?

1 Commento

  1. Anche se con grande ritardo ti faccio i complimenti per l'aritcolo.
    Veramente ben costruito, toccando i temi decisivi, senza bisogno di approfondirli troppo, al fine di esporre la tua tesi.

    Giusto un'osservazione sulla rientrata della Francia nella NATO. Una delle motivazioni che sono state date a tale scelta, ed uno degli effetti sarà un maggior equilibrio tra i paesi europei e gli USA all'interno dell'organizzazione. Di fatto, una delle clausole legate al rientro è l'affidamento del comando di Norfolk e di uno dei tre comandi regionali europei (Lisbona) alla Francia

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