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Scritto da nel Internazionale, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 0 commenti

Stati (dis)Uniti d'America

The Second Civil War è un geniale e provocatorio film del 1997, piccolo capolavoro del regista Joe Dante: il Governatore dell'Idaho decide di chiudere le frontiere a tutti gli immigrati ma, durante un'intervista, a causa di un malinteso linguistico, dà il via alla secessione del suo Stato, provocando una reazione a catena in tutti gli USA; è l'inizio della Seconda Guerra Civile Americana. Una vicenda bizzarra che, attraverso la satira, mette in luce, tra l'altro, tutti i problemi derivanti dalla difficile convivenza tra le diverse culture unite sotto la bandiera a stelle e strisce. Ma si tratta veramente di fantapolitica?

Il 15 aprile scorso si è tenuto su tutto il territorio statunitense il Tax Day Tea Party, manifestazione voluta da gruppi conservatori che, rifacendosi al patriottico Boston Tea Party, inizio della Rivoluzione contro l'Impero Britannico nel 1773, si sono scagliati contro l'Amministrazione Obama, il governo federale “socialista” e l'inaccettabile aumento delle tasse (per ora solo minacciato). Protagonista della giornata è stato il Governatore del Texas Rick Perry che, sollecitato dalla folla, avrebbe vagamente minacciato la secessione dello Stato della Stella Solitaria dalla Federazione. Le dichiarazioni di Perry hanno trovato immediato supporto nel sondaggio Rasmussen Reports, secondo cui il 31% dei Texani ritiene legittimo il diritto alla secessione, poi ridimensionato da quesiti più calzanti che hanno evidenziato il solo 18% effettivamente favorevole in caso di eventuale voto.

La secessione può sembrare un'irrealistica provocazione goliardica, tuttavia movimenti separatisti sono una realtà ormai in tutti gli USA con sempre maggiore seguito: dal sopracitato Texas all'Alaska, dalle Hawaii al Vermont, dalla California al New Hampshire.
Capofila della rivolta è la North American Separatist Convention, risposta al “collasso dell'impero americano”, che nasce dalla bizzarra complicità tra il liberal Middlesbury Institute (New York) e l'ultra conservatrice Lega del Sud (Alabama); il primo fautore del libero aborto e della proibizione del porto d'armi, la seconda razzista ed orgogliosa di sventolare la vecchia bandiera crociata sudista.
Movimenti di questo tipo trovano legittimità nientemeno che nella Dichiarazione d'Indipendenza del 1776, DNA degli Stati Uniti d'America, che nel preambolo recita: “…ogni qualvolta una forma di governo neghi questi fini (Vita, Libertà e Perseguimento della Felicità), il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzare i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”. Attentando il Governo federale alla libertà dei suoi cittadini e dei singoli stati confederati, questi possono rispondere con la secessione, non vietata dalla Costituzione.

Quali sarebbero le conseguenze della dichiarazione d'indipendenza di uno stato dal resto dell'Unione? I supporter della Repubblica del New Hampshire si pongono questa e altre




domande: gli Stati Uniti ci attaccherebbero? Imporrebbero l'embargo? Il mio passaporto statunitense sarebbe ancora valido? E l'assistenza sanitaria? E cosa accadrebbe al povero Maine rimasto isolato dal resto del paese? Il leader Caleb Johnson si scaglia contro il Governo centrale federale che nasconde tutti i propri fallimenti dietro un artificioso patriottismo e nazionalismo.
Sotto la guida di Thomas Naylor, la Seconda Repubblica del Vermont propone uno stato verde e sostenibile, sobrio e “a misura d'uomo”.
L'Hawaiian Constitutional Convention considera Washington un dominatore e colonizzatore straniero intenzionato a cancellare la cultura locale, a partire dalla lingua 'Olelo Hawai'i.
L'ambizioso progetto di Cascadia vede una confederazione indipendente lungo tutta la costa del Pacifico: dall'Alaska e British Columbia alla California e Yukon.
Ma c'è chi è andato oltre: nel 2007 la tribù Lakota ha dichiarato nulli tutti i trattati con gli Stati Uniti poiché continuamente violati da Washington, il cui obiettivo sarebbe quello di cancellare la cultura Sioux. Il gruppo, uno dei più radicali all'interno dell'American Indian Movement, ha autoproclamato l'indipendenza della Republic of Lakotah all'interno di quei confini stabiliti dal Trattato di Fort Laramie del 1851, in un'area compresa tra Nord e Sud Dakota, Nebraska, Montana e Wyoming.

Evidente come i motivi che innescano queste forze centrifughe siano ben diversi da realtà a realtà: economici, culturali, storici… Le fondamenta su cui si reggono gli Stati Uniti, Libertà e Perseguimento della Felicità, determineranno la fine della Federazione stessa, garantendo attraverso un modo perverso il perpetuare del sogno di Jefferson? Difficile. Emerge però un Paese meno coeso di quanto si possa immaginare.
Intanto, quella del Governatore Perry, paladino del Sud e dei “Texians” insofferenti verso il potere centrale, sembra sia stata una provocatoria battuta che qualcuno ha preso volentieri sul serio.

Per saperne di più:
- la Repubblica – “L'orgoglio degli eroi di Fort Alamo e il mito americano della rivolta del tè” di V. Zucconi >>>





http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/usa-secessione/usa-secessione/usa-secessione.html
- la Repubblica – “Troppe tasse, il Texas minaccia la secessione dagli States” di A. Flores D'Arcais >>>




http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/usa-secessione/texas-minaccia/texas-minaccia.html
- American Secessionist Project >>>





- Nazione Lakota >>>




http://www.republicoflakotah.com/

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