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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 61 - 1 Luglio 2009 | 0 commenti

Da Kyoto a L'Aquila – le città dimenticate

La ricostruzione post sisma della città e dell'area urbana de L'Aquila offre l'occasione per riflettere sul modo di ripensare la vita in città in un'ottica di sostenibilità.
In un paese dove la maggioranza della popolazione vive in realtà urbane di piccole e medie dimensioni, e dove il settore dei trasporti e residenziale partecipano in maniera sostanziale alle emissioni di gas serra, un approccio locale alle tematiche ambientali ed energetiche diventa necessario per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni presi a livello internazionale.
Il modo di costruire e di organizzare la vita nelle nostre città pone un'ipoteca importante sul loro bisogno di energia e pertanto sul loro impatto ambientale, e la somma dei contributi delle singole municipalità pesa significativamente sul bilancio nazionale energetico e ambientale.
Tuttavia, ad oggi, mancano decise misure locali indirizzate all'abbattimento delle emissioni di gas serra in particolare nel settore edile e dei trasporti, e gli amministratori locali non sono di fatto chiamati a confrontarsi con obiettivi chiari, vincolanti e coerenti con gli impegni internazionali.
Cerchiamo quindi di capire quale peso hanno le città ed i nostri stili di vita sul bilancio energetico ed ambientale nazionale, e mostriamo quanto insufficienti si siano rivelate ad oggi le relative politiche territoriali.


Emissioni in Italia ed il peso delle città
Con la ratifica del Protocollo di Kyoto, l'Italia ha assunto l'impegno di portare nel 2012 le proprie emissioni a 487 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (MtonnCO2), il 6,5% in meno di quelle rilasciate nel 1990 (521 Mtonn).
Nello stesso anno l'Italia emetteva 555,7 Mtonn, il 7% in più rispetto ai livelli del 1990, il 13,5% di emissioni in più rispetto all'obiettivo legalmente vincolante di Kyoto.
Per capire dove poter ridurre i quasi 69 milioni di tonnellate che ci separavano dal target di Kyoto è utile sapere quali siano le fonti emissive, tenendo conto sia della produzione a monte, che del consumo a valle.
L'80% delle emissioni nazionali proviene dalla combustione di fonti fossili.
Dai dati dell'Agenzia Europea dell'Ambiente emerge che nel 2002 i settori dei trasporti, del residenziale e del commerciale/istituzionale producevano complessivamente il 44% delle emissioni per combustione diretta. Escludendo i trasporti autostradali, queste attività costituiscono una approssimazione delle emissioni legate al vivere cittadino.

Ma a questa stima bisogna aggiungere un'altra voce: alle emissioni dirette, derivanti dalla generazione energetica, corrispondono infatti emissioni indirette dovute al consumo di energia elettrica.
Guardando le emissioni e la generazione a monte, e combinando questi dati con i consumi elettrici a valle, è possibile stimare quante emissioni, dirette ed indirette, siano imputabili all'edilizia residenziale, istituzionale o commerciale. Scopriamo che nel 2002 l'edilizia pubblica e privata è stata responsabile dell'emissione di 130 milioni di tonnellate di CO2, corrispondenti a quasi il 25% delle emissioni nazionali. Una percentuale che, sommata a quella dei trasporti, supera il 50% delle emissioni nazionali.
La combinazione dei dati relativi alle emissioni ai consumi elettrici e la loro scomposizione per fonti è inoltre necessaria a definire dove, e in che misura, le emissioni dovrebbero essere ridotte.
Chi è infatti responsabile delle emissioni rilasciate nell'atmosfera? L'impianto che genera elettricità? O il quartiere residenziale che la consuma?
In linea di principio le emissioni sono potenzialmente riducibili a monte, intervenendo sulla produzione (tipo di combustibili, di materiali, efficienza delle tecnologie) ma anche a valle nei consumi (efficientamento e risparmio energetico), nonché nella tratta di trasporti e distribuzione che collega la produzione al consumo.
Politiche internazionali e nazionali per la riduzione delle emissioni di gas serra
Abbiamo visto da dove provengono le emissioni, chi ne è responsabile. Come intervenire quindi per invertire la rotta ed avvicinarci agli obiettivi di Kyoto e del 2020?
Sappiamo con certezza che, attraverso l'istituzione del mercato europeo dei permessi di emissione, la regolamentazione europea ha imposto ai settori industriali ed energetici italiani l'onere di ridurre 31 Mtonn CO2, circa la metà delle emissioni che nel 2002 separavano l'Italia da Kyoto.
Per raggiungere l'obiettivo di Kyoto servono quindi politiche energetiche ed ambientali nazionali capaci di promuovere una riduzione delle restanti 34 Mton, principalmente nei settori dei trasporti e dell'edilizia.
Nel 2002 la Delibera CIPE recepisce il Protocollo di Kyoto nella legislazione nazionale (legge 120/2002) definendo una pluralità di misure nazionali per la riduzione delle emissioni di gas serra che, se implementate, avrebbero dovuto portare all'abbattimento di un ammontare di tonnellate di CO2 variabile tra un minimo di 30 milioni ed un massimo di 39; un ammontare adeguato al raggiungimento dell'obiettivo di Kyoto.
Tuttavia, nel 2007, a 5 anni dal recepimento di Kyoto dalla definizione del piano nazionale di riduzione, le emissioni direttamente o indirettamente imputabili all'edilizia non hanno registrato variazioni significative, attestandosi ancora ad un livello superiore ai 130 Mtonn, mentre il settore dei trasporti faceva registrare un trend di crescita di circa il 10% dal 2002 (ENEA, 2008).
Alle misure previste nella Delibera CIPE (120/2002) non hanno fatto seguito adeguate politiche nazionali e territoriali necessarie a realizzarle.

Asimmetrie e responsabilità
Pochi calcoli, noiosi ma necessari, sono serviti a sottolineare l'asimmetria che esiste tra il peso rilevante delle città nei bilanci energetici nazionali e la pochezza delle politiche territoriali.

Ad oggi si ha riscontro solo di misure che ricadono tipicamente nelle responsabilità dirette del governo centrale, come la promozione dell'efficienza, dell'uso di fonti rinnovabili e di tecnologie a basso consumo.
Le misure territoriali, la cui responsabilità di attuazione è tipicamente locale, sembrano invece dimenticate. Spesso si limitano ad una lunga elencazione di buoni propositi, che rimangono però orfani di genitori responsabili della loro attuazione.
Non è stata mai seriamente considerata la responsabilizzazione diretta degli enti locali, attraverso strumenti sia cogenti che incentivanti, e ad oggi è mancata una chiara pianificazione di obiettivi locali in linea con quelli nazionali, nonchè la definizione di risorse destinate alla loro attuazione.
L'adozione di misure importanti in settori cruciali dal punto di vista delle emissioni come ad esempio l'edilizia, il nuovo costruito e la mobilità locale, è lasciata alla sensibilità dei singoli amministratori producendo risultati solo in casi limitati.
L'attuazione di politiche territoriali, finalizzate a ridurre le emissioni provenienti dal settore edilizio e dai trasporti – attività che caratterizzano la qualità e sostenibilità delle città – sono necessarie per avvicinarsi agli obiettivi di Kyoto e lo saranno ancora di più affinchè l'impegno preso con il Pacchetto Clima del 2008 di ridurre entro il 2020 le emissioni nazionali del 20% rispetto ai livelli del 1990 non rimanga solo un'intenzione.
Questo articolo è parte del progetto di informazione sulla ricostruzione de L'Aquila curato da Arengo e Collettivo99. Una sua versione più estesa, che riporta fonti e calcoli, è stata pubblicata su www.agienergia.it a metà giugno.

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