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Scritto da nel Media e Cultura, Numero 61 - 1 Luglio 2009 | 0 commenti

Il cinema “Frat Pack” e il ritorno del demenziale

Chi non avesse familiarità con la denifinizione “Frat Pack” potrebbe però, certamente, conoscere o avere visto alcuni titoli eccellenti: Ti presento i miei, I Tenenbaum, Old School, Starsky & Hutch, Anchorman, 40 anni vergine, Tropic Thunder. Tecnicamente, il cinema “Frat Pack” fa capo a un gruppo di sette attori comici (Ben Stiller, Luke e Owen Wilson, Jack Black, Will Ferrell, Vince Vaughn e Steve Carell), e perchè una pellicola frat pack possa considerarsi tale, deve contare nel cast almeno due membri del gruppo in ruoli principali o secondari. Col tempo, tuttavia, all'interno della scuderia frat pack sono nati giovani attori e attrici (Seth Rogen, Leslie Mann, Jonah Hill), mentre nel rifiorire della commedia demenziale vivevano una seconda giovinezza vecchie guardie come Matt Dillon, Paul Rudd e Robert Downey Jr.; così, una nuova generazione di successi di pubblico ha condiviso con la prima le caratteristiche sinottiche e l'approccio umoristico dei capisaldi frat pack, dando vita a film diventati presto popolari come Elf, Melinda e Melinda, Molto incinta, e i sette membri fondatori hanno portato avanti progetti solisti, a loro volta entrati di diritto nell'orbita della nuova commedia americana.

Che nel cinema statunitense ci fosse voglia di demenziale lo si poteva già intuire dal prolificarsi delle American Pies e degli Scary Movies, con una linea di continuità che non rinunciava a strizzare l'occhio ai filoni di Porky's e a rispolverare i fratelli Zucker (L'aereo più pazzo del mondo). La particolarissima novità inaugurata dal capofila Ben Stiller – leader del gruppo cresciuto nel vivace ambiente della comedy newyorkese dei genitori Jerry Stiller e Anne Meara, storici volti di numerose sitcom tra cui Seinfeld, e cabarettisti di fama – è tuttavia la fusione della comicità idiota, spesso a sfondo sessuale e con molti richiami all'umorismo ebraico, con il gusto per la commedia romantica; seppure non tecnicamente frat pack, è quindi Tutti pazzi per Mary il film che rende possibile il successo e la conseguente exploitation di uno schema narrativo ricorrente: la presentazione di una fratellanza, di un gruppo di amici (o nemici) goliardici e serenamente immaturi (il richiamo più evidente è alla comicità fracassona di Animal House) all'interno del quale il protagonista perdente è costretto dalle contingenze alle prove più umilianti: tornare a casa con un'ora di anticipo e trovare la propria ragazza impegnata in una gang bang (Old School), perdere la competizione dell'anno rendendosi ridicolo in mondovisione (Zoolander), andare al matrimonio dell'ex fidanzata solo per essere dileggiati in pubblico dal padre della sposa (Lo spaccacuori); oltre alla celebre scena con la zip dei pantaloni, ovviamente. Affiancati da eroine “della porta accanto”, spesso sportive o giornaliste in carriera e sempre più sveglie di loro (sono pacificamente banditi tanto il silicone quanto i nudi delle protagoniste, con caratterizzazioni ironiche e originali che superano sia il modello della classica Meg Ryan, sia la parodia della bambolina/bambolona pure ben riuscita, per esempio, ne Una pallottola spuntata), gli eroi compiono alfine e con grande fatica la missione della trama – crescere, mantenere una relazione, riconquistare un lavoro – che si svolge, naturalmente, nel susseguirsi di imprevisti spassosi: un gruppo di indossatori deficienti che in Zoolander si dà fuoco per errore, giocando con le pompe della benzina al suono di Wake me up before you go-go, resta una scena esemplificativa della cinematografia frat pack, che si contraddistingue per l'umorismo senza tabù grandemente debitore di South Park (non a caso erano Trey Parker e Matt Stone gli autori di un film precursore del genere come Baseketball); e in un continuo sbeffeggio della società statunitense (California e New York gli scenari naturali di gran parte delle commedie), i frat pack non risparmiano niente e nessuno, sparando a zero sul politically correct e prendendo di mira, senza troppe distinzioni, cagnetti di piccola taglia, isterie femminili, messicani, omosessuali, stupidi e grassoni.

Al successo del fenomeno ha contribuito una costante attenzione alle colonne sonore e una massiccia partecipazione di protagonisti dello star system, in decine di piccoli camei quando non in ruoli importanti: Juliette Lewis, Winona Ryder, Tom Hanks, James Caan, David Bowie, Jon Voight, addirittura Robert de Niro in Ti presento i miei e Gene Hackman ne I Tenenbaum, quasi un passaggio di testimone dalla serissima generazione dell'Actor's Studio ai “nipoti” in cerca della risata, prima che della riflessione, del proprio pubblico. Sta d'altra parte nella recitazione un grande punto di forza del gruppo di attori, sia di prima che di seconda infornata: più ancora di Ben Stiller, si distinguono per performance esilaranti soprattutto Steve Carell e il comico Will Ferrell, celebre per le sue interpretazioni di George Bush al Saturday Night Live e creatore di una lunga serie di personaggi indimenticabili: Ron Burgundy, l'Elfo, Frank “The Tank”, Anthony Mugatu, tanto da meritarsi, senza essere certo una bellezza, un ruolo da co-protagonista addirittura al fianco di Nicole Kidman (Vita da strega). Nel frattempo, quest'anno, Tropic Thunder si è aggiudicato anche una nomination ad un Oscar importante come quello per il migliore attore non protagonista -Robert Downey Jr.-, vero traguardo per un film demenziale: a oltre dieci anni dalla sua nascita il cinema frat pack, nelle sue poche pretese, grande freschezza e divertimento garantito pare continuare a scoppiare di salute.

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