Le criticità del piano C.a.s.e.
Dopo più di due mesi dal terribile evento sismico che ha colpito le popolazioni dell’Abruzzo interno, si va delineando una fase di transizione tra la prima emergenza e la ricostruzione cosiddetta “leggera”, affidata alle ordinanze, firmate in data 6 Giugno, che contengono le procedure per la riparazione dei danni relativi alle abitazioni classificate come agibili di tipo “A” (ordinanza n. 3778) e quelle inagibili di tipo “B” e “C” (ordinanza n. 3779).
I contributi previsti coprono integralmente le spese per le abitazioni principali, mentre per gli altri immobili, o per quelli ad uso non abitativo, sono previsti rimborsi fino all’80 per cento delle spese previste, e comunque non superiori a 80mila euro.
Le rassicurazioni date dallo stesso Presidente del Consiglio alla vigilia delle elezioni Europee sul totale rimborso anche per le case non principali, che costituiscono la quasi totalità delle abitazioni nei borghi medievali dell’aquilano, oltre a tutta una serie di emendamenti migliorativi del Decreto Abruzzo, respinti dalla Commissione Ambiente lo scorso 10 Giugno, hanno preannunciato un acceso dibattito, ancora in corso, nella discussione in calendario dal 16 Giugno alla Camera.
Destano preoccupazione, inoltre, gli stanziamenti per la copertura finanziaria del decreto, ritenuti esigui, non certi (l’art. 12 del DL stabilisce contributi da lotterie, “gratta e vinci”, lotto e poker on-line), e diluiti in un arco di tempo troppo ampio: per il 2009 sono stanziati 1.152 milioni di euro, mentre i restanti 7 miliardi di euro circa sono spalmati fino al 2032; tali contributi arriveranno anche dal F.A.S., il fondo per le aree sottosviluppate.
Intanto nei 49 Comuni individuati dalla Protezione Civile come sede del “cratere sismico” proseguono le verifiche dei danni agli edifici prodotti dal terremoto; a L’Aquila, il capoluogo di Regione epicentro del sisma, l’indagine è partita dalle zone periferiche meno colpite per arrivare attualmente alla “zona rossa” del centro storico, registrando un progressivo quanto atteso aumento degli immobili classificati come inagibili: dagli ultimi dati forniti dal Dipartimento della Protezione Civile, su un totale di 52161 verifiche eseguite, il 53.9 per cento degli edifici risulta di cat. “A” (agibile), il 13.6 “B” (temporaneamente inagibile), il 2.8 “C” (parzialmente inagibile), l’1 per cento “D” (inagibile da rivedere), il 24.3 “E” (inagibile), il 4.4 “F” (inagibile per rischio esterno).
Tali dati andranno a determinare il numero degli aventi diritto ad una nuova abitazione “destinata a una durevole utilizzazione” secondo quanto previsto all’articolo 2 del DL 39.
Gli interventi edilizi di cui sopra saranno dunque legiferati dalle correnti norme vigenti urbanistiche, che non sembrano volersi adeguare alle prerogative richieste in materia di risparmio energetico da leggi europee e nazionali ad oggi in vigore. Ciò si tradurrà nella realizzazione o ristrutturazione di edifici dalle ambigue prestazioni energetiche: a causa dell’esiguità dei fondi a disposizione e di obiettive difficoltà di implementazione delle prestazioni di involucro ed impianti, a maggior ragione nel centro storico, le riqualificazioni e ristrutturazioni saranno condotte con l’unico scopo del ripristino e della sicurezza sismica, priorità certa ma non assoluta; la qualità delle nuove costruzioni, conseguenti alle demolizioni, sarà invece determinata dalla “sensibilità ambientale” del singolo progettista, costruttore o proprietario, come per altro è stato finora, a meno di poche dovute attenzioni alle trasmittanze termiche dei pacchetti di facciata e copertura, o alle predisposizioni per impianti di sfruttamento di energia rinnovabile. D’altro canto, però, giunge un approccio assai differente dalle intenzioni statali di ricostruzione: Piano C.a.s.e., Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili. Sono iniziati l’ 8 giugno, infatti, i lavori per la realizzazione dei complessi residenziali previsti nel piano C.A.S.E. Il progetto del Commissario Bertolaso prevede la costruzione di quartieri e appartamenti per circa 13.000 cittadini rimasti senza un’abitazione a seguito del terremoto del 6 aprile. Nelle località di Cese di Preturo e di Bazzano due società, la Co.Ge.Fer. di Roma e la P.r.s. Produzione e servizi s.r.l. di Avezzano, risultate aggiudicatarie dei primi appalti, sono entrate nei cantieri per le operazioni di scavo vere e proprie e per la realizzazione delle fondamenta delle abitazioni che poggeranno su piattaforme antisismiche.
Parte così l’iter relativo all’art. 2 del Decreto Legge 28 Aprile 2009, n.39, che prevede la “Realizzazione urgente di abitazioni”.
L’art.2 comma 4 del cosiddetto Decreto Abruzzo recita: "il Commissario delegato provvede, d'intesa con il Presidente della regione Abruzzo e sentiti i sindaci dei comuni interessati, alla localizzazione delle aree destinate alla realizzazione degli edifici di cui al comma 1, anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche.”
E al comma 5: “L'approvazione delle localizzazioni di cui al comma 4, se derogatoria dei vigenti strumenti urbanistici, costituisce variante degli stessi e produce l'effetto della imposizione del vincolo preordinato alla espropriazione.”
Siamo di fronte a provvedimenti di straordinaria urgenza; pur tuttavia è d’obbligo affermare che sono provvedimenti di straordinario impatto urbanistico e sociale sulla città di L’Aquila e che seguono un disegno di governance dell’intervento di ricostruzione – e più in generale del ripristino di accettabili livelli di normalità – affidato in via esclusiva al Dipartimento di Protezione Civile che espropria di qualsiasi funzione decisionale l’intera comunità con tutti i livelli politico – amministrativi locali.
Di conseguenza l’iter appare derogatorio, non partecipato e poco trasparente.
Ci si chiede poi in cosa consista la sostenibilità e l’ecocompatibilità di tali interventi: visitando il sito www.protezionecivile.it si notano apparenti incongruenze con i principi alla base di una progettazione bioclimatica ed energeticamente efficiente. Le stecche a falda unica o doppia vengono disposte a corte sulle aree da edificare, variando orientamento ma non bucature dei prospetti né sezioni: in tal modo non si rischia di favorire l’esposizione di alcuni ambienti solo in pochi appartamenti e di diminuire il comfort abitativo in tutti gli altri? L’inserimento nella bioclimatica locale non dovrebbe sfruttare e gestire la quantità di luce naturale, radiazione solare, ventilazione naturale prevalente, e distribuirla equamente tra tutti i fruitori? Ed inoltre in che modo si riesce a dotare ciascuna unità di pannelli solari se le coperture ruotano mutuamente di 90°? Gli interrogativi che non trovano risposta sono innumerevoli.
Vanno invece a delinearsi interventi caratterizzati da nuove tipologie edilizie completamente decontestualizzate rispetto ai nuclei urbani ed ai valori agricoli del territorio in cui si inseriscono; territorio che aveva già prima del terremoto sulle spalle un fardello di 3000 appartamenti invenduti.
Ne deriva l’assoluta insostenibilità sia in termini economici, sia in termini ambientali di un’operazione urbanistica troppo invadente per la città, col rischio di comprometterne per sempre le vocazioni territoriali agricole, paesaggistiche e culturali; in una parola si rischia di comprometterne irrimediabilmente il futuro.
Si vuole insomma sollevare il dubbio – a
cui si attende risposta insieme con le altre domande esposte sopra – che la divulgazione di principi di sostenibilità sia poco applicabile nella realtà se concepita come emerge dalla brochure del Piano C.a.s.e.; la progettazione bioclimatica non può prescindere dalle caratteristiche climatiche locali, variabili anche nel giro di pochi chilometri; conduce al disegno di un’architettura modificata da quei parametri climatici nei quattro prospetti, nella copertura, nell’involucro tutto variabilmente esposto a determinati fattori; solo previa considerazione delle soluzioni passive si integra con tecniche attive di conversione, che da sole non possono bastare ad un risparmio energetico ambientale ed economico concreto. questo articolo è parte del progetto di informazione sulla ricostruzione de L'Aquila curato da Arengo e Collettivo99 ed è stato pubblicato su www.agienergia.it a metà giugno
I contributi previsti coprono integralmente le spese per le abitazioni principali, mentre per gli altri immobili, o per quelli ad uso non abitativo, sono previsti rimborsi fino all’80 per cento delle spese previste, e comunque non superiori a 80mila euro.
Le rassicurazioni date dallo stesso Presidente del Consiglio alla vigilia delle elezioni Europee sul totale rimborso anche per le case non principali, che costituiscono la quasi totalità delle abitazioni nei borghi medievali dell’aquilano, oltre a tutta una serie di emendamenti migliorativi del Decreto Abruzzo, respinti dalla Commissione Ambiente lo scorso 10 Giugno, hanno preannunciato un acceso dibattito, ancora in corso, nella discussione in calendario dal 16 Giugno alla Camera.
Destano preoccupazione, inoltre, gli stanziamenti per la copertura finanziaria del decreto, ritenuti esigui, non certi (l’art. 12 del DL stabilisce contributi da lotterie, “gratta e vinci”, lotto e poker on-line), e diluiti in un arco di tempo troppo ampio: per il 2009 sono stanziati 1.152 milioni di euro, mentre i restanti 7 miliardi di euro circa sono spalmati fino al 2032; tali contributi arriveranno anche dal F.A.S., il fondo per le aree sottosviluppate.
Intanto nei 49 Comuni individuati dalla Protezione Civile come sede del “cratere sismico” proseguono le verifiche dei danni agli edifici prodotti dal terremoto; a L’Aquila, il capoluogo di Regione epicentro del sisma, l’indagine è partita dalle zone periferiche meno colpite per arrivare attualmente alla “zona rossa” del centro storico, registrando un progressivo quanto atteso aumento degli immobili classificati come inagibili: dagli ultimi dati forniti dal Dipartimento della Protezione Civile, su un totale di 52161 verifiche eseguite, il 53.9 per cento degli edifici risulta di cat. “A” (agibile), il 13.6 “B” (temporaneamente inagibile), il 2.8 “C” (parzialmente inagibile), l’1 per cento “D” (inagibile da rivedere), il 24.3 “E” (inagibile), il 4.4 “F” (inagibile per rischio esterno).
Tali dati andranno a determinare il numero degli aventi diritto ad una nuova abitazione “destinata a una durevole utilizzazione” secondo quanto previsto all’articolo 2 del DL 39.
Gli interventi edilizi di cui sopra saranno dunque legiferati dalle correnti norme vigenti urbanistiche, che non sembrano volersi adeguare alle prerogative richieste in materia di risparmio energetico da leggi europee e nazionali ad oggi in vigore. Ciò si tradurrà nella realizzazione o ristrutturazione di edifici dalle ambigue prestazioni energetiche: a causa dell’esiguità dei fondi a disposizione e di obiettive difficoltà di implementazione delle prestazioni di involucro ed impianti, a maggior ragione nel centro storico, le riqualificazioni e ristrutturazioni saranno condotte con l’unico scopo del ripristino e della sicurezza sismica, priorità certa ma non assoluta; la qualità delle nuove costruzioni, conseguenti alle demolizioni, sarà invece determinata dalla “sensibilità ambientale” del singolo progettista, costruttore o proprietario, come per altro è stato finora, a meno di poche dovute attenzioni alle trasmittanze termiche dei pacchetti di facciata e copertura, o alle predisposizioni per impianti di sfruttamento di energia rinnovabile. D’altro canto, però, giunge un approccio assai differente dalle intenzioni statali di ricostruzione: Piano C.a.s.e., Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili. Sono iniziati l’ 8 giugno, infatti, i lavori per la realizzazione dei complessi residenziali previsti nel piano C.A.S.E. Il progetto del Commissario Bertolaso prevede la costruzione di quartieri e appartamenti per circa 13.000 cittadini rimasti senza un’abitazione a seguito del terremoto del 6 aprile. Nelle località di Cese di Preturo e di Bazzano due società, la Co.Ge.Fer. di Roma e la P.r.s. Produzione e servizi s.r.l. di Avezzano, risultate aggiudicatarie dei primi appalti, sono entrate nei cantieri per le operazioni di scavo vere e proprie e per la realizzazione delle fondamenta delle abitazioni che poggeranno su piattaforme antisismiche.
Parte così l’iter relativo all’art. 2 del Decreto Legge 28 Aprile 2009, n.39, che prevede la “Realizzazione urgente di abitazioni”.
L’art.2 comma 4 del cosiddetto Decreto Abruzzo recita: "il Commissario delegato provvede, d'intesa con il Presidente della regione Abruzzo e sentiti i sindaci dei comuni interessati, alla localizzazione delle aree destinate alla realizzazione degli edifici di cui al comma 1, anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche.”
E al comma 5: “L'approvazione delle localizzazioni di cui al comma 4, se derogatoria dei vigenti strumenti urbanistici, costituisce variante degli stessi e produce l'effetto della imposizione del vincolo preordinato alla espropriazione.”
Siamo di fronte a provvedimenti di straordinaria urgenza; pur tuttavia è d’obbligo affermare che sono provvedimenti di straordinario impatto urbanistico e sociale sulla città di L’Aquila e che seguono un disegno di governance dell’intervento di ricostruzione – e più in generale del ripristino di accettabili livelli di normalità – affidato in via esclusiva al Dipartimento di Protezione Civile che espropria di qualsiasi funzione decisionale l’intera comunità con tutti i livelli politico – amministrativi locali.
Di conseguenza l’iter appare derogatorio, non partecipato e poco trasparente.
Ci si chiede poi in cosa consista la sostenibilità e l’ecocompatibilità di tali interventi: visitando il sito www.protezionecivile.it si notano apparenti incongruenze con i principi alla base di una progettazione bioclimatica ed energeticamente efficiente. Le stecche a falda unica o doppia vengono disposte a corte sulle aree da edificare, variando orientamento ma non bucature dei prospetti né sezioni: in tal modo non si rischia di favorire l’esposizione di alcuni ambienti solo in pochi appartamenti e di diminuire il comfort abitativo in tutti gli altri? L’inserimento nella bioclimatica locale non dovrebbe sfruttare e gestire la quantità di luce naturale, radiazione solare, ventilazione naturale prevalente, e distribuirla equamente tra tutti i fruitori? Ed inoltre in che modo si riesce a dotare ciascuna unità di pannelli solari se le coperture ruotano mutuamente di 90°? Gli interrogativi che non trovano risposta sono innumerevoli.
Vanno invece a delinearsi interventi caratterizzati da nuove tipologie edilizie completamente decontestualizzate rispetto ai nuclei urbani ed ai valori agricoli del territorio in cui si inseriscono; territorio che aveva già prima del terremoto sulle spalle un fardello di 3000 appartamenti invenduti.
Ne deriva l’assoluta insostenibilità sia in termini economici, sia in termini ambientali di un’operazione urbanistica troppo invadente per la città, col rischio di comprometterne per sempre le vocazioni territoriali agricole, paesaggistiche e culturali; in una parola si rischia di comprometterne irrimediabilmente il futuro.
Si vuole insomma sollevare il dubbio – a
cui si attende risposta insieme con le altre domande esposte sopra – che la divulgazione di principi di sostenibilità sia poco applicabile nella realtà se concepita come emerge dalla brochure del Piano C.a.s.e.; la progettazione bioclimatica non può prescindere dalle caratteristiche climatiche locali, variabili anche nel giro di pochi chilometri; conduce al disegno di un’architettura modificata da quei parametri climatici nei quattro prospetti, nella copertura, nell’involucro tutto variabilmente esposto a determinati fattori; solo previa considerazione delle soluzioni passive si integra con tecniche attive di conversione, che da sole non possono bastare ad un risparmio energetico ambientale ed economico concreto. questo articolo è parte del progetto di informazione sulla ricostruzione de L'Aquila curato da Arengo e Collettivo99 ed è stato pubblicato su www.agienergia.it a metà giugno