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Scritto da nel Media e Cultura, Numero 62 - 1 Agosto 2009 | 0 commenti

Bono nella tela del ragno

Bono nella tela del ragno

Di polemiche contro il nostro governo, gli U2 non ne vogliono evidentemente sapere, nel giorno del G8 italiano in concomitanza alle loro tappe di San Siro; soprattutto considerato che nel corso di un altro G8 italiano, proprio nelle stesse ore in cui a Torino i fans sbaraccavano il Delle Alpi per far ritorno a casa dopo l'Elevation Tour del 2001, al termine di uno dei concerti più schierati e cupi della band, a Genova i manifestanti anti summit venivano presi d'assalto e a bastonate dalle nostre “forze dell'ordine”, all'interno della scuola Diaz. Per scaramanzia meglio quindi mantenersi sulla politica estera, e per Berlusconi c'è solo un richiamo ironico: visto che parliamo di un “very generous man” – è la settimana della scoperta delle farfalline d'oro -, che il premier non si tiri indietro dagli impegni presi nei confronti dell'Africa e rispetti la promessa di versare anche quel tipo di aiuto.

Arrivati alle soglie dei trent'anni di carriera, gli U2 devono il loro successo al mantenimento degli stessi membri, per 12 album in studio; alla qualità di un lavoro musicale che, pur tra sperimentazioni non sempre comprese e leggeri passi falsi, ha saputo accontentare unanimemente critica e pubblico per tutti e due i decenni chiave della band, gli '80 e i '90; non certo da ultimo, al carisma di un frontman come Bono, un omuncolo alto nemmeno uno e settanta e, per di più, da sempre aperto sfidante delle regole del look nella società dell'immagine (a San Siro si presenta dapprima con una giacca di pelle patchwork, e poi, su Ultraviolet, spunta la giacca a raggi ultravioletti – vedere per credere). Un omuncolo che, eppure, nelle sue provocazioni pagliaccesche (chi ricorda il costume da MacPhisto?), nei suoi atteggiamenti da Messia fin troppo figli dello schiacciante cattolicesimo irlandese, e nonostante questo, nei suoi dubbi aperti che a ben leggere le canzoni emergono sulla possibilità di una salvezza, tanto meno nella Chiesa, a suon di Live Aid e iniziative di solidarietà si è trasformato, da ragazzetto semi-punk spuntato da un garage di Dublino con i soli doni di una bellissima voce e di una vena artistica, a opinion leader mondiale ricevuto da Capi di Stato e vertici ecclesiastici. Si diceva che dal punto di vista tecnico, l'accuratezza e la bellezza, e in certi casi l'originalità della musica degli U2 fanno già parte della storia del rock e difficilmente vengono più discusse, e i concerti italiani di Luglio non fanno eccezione: Bono ha ancora la sua voce, in barba a quanti dicono che l'ha perduta dal 1983, il nuovo disco non sarà ai livelli degli anni d'oro ma risale in qualità rispetto a How to dismantle an atomic bomb, e l'esecuzione dal vivo non delude, per energia e coinvolgimento, arricchita come da tradizione da qualche classico dei primi album (The unforgettale fire, Desire). Ma questo ancora non spiega come mai più di una classifica abbia compreso Bono tra gli uomini più potenti al mondo, spesso unico artista tra politici, industriali e finanzieri.

Un'ipotesi potrebbe essere la capacità e la sensibilità che la band, come soggetto comunicatore e soprattutto comunicatore sociale e politico, ha dimostrato nel saper prevedere i temi che sarebbero diventati cruciali nel futuro, e questo spiega anche perché canzoni come Mlk e Sunday bloody Sunday, scritte per Martin Luther King e per il conflitto nord-irlandese, oggi possano essere suonate con uguale raccoglimento per San Suu Kyi o per la guerra tra Israele e Palestina. Soprattutto vaticinatrice appare l'attenzione che il gruppo ha mostrato all'inizio degli anni '90 per il cambiamento dei mass media e l'avvento di un regime informativo martellante, simboleggiato dall'intero Zoo Tv Tour, con le sue decine di megaschermi bombardanti notizie e dati contraddittori; col senno di poi, così simili – ma in chiave alienante, come voleva mostrare ad esempio il video di Numb – ai tempi moderni della vita multitasking, dell'infotainment e della velocità in Rete. Di quella Babele di voci e suoni, nella nuova tournée è rimasta solo la scelta di presentare i testi delle canzoni in molte lingue diverse, scelta forse debitrice del quasi-esperanto del coetaneo Manu Chao; ci si accorge in effetti che ad occhio e croce, nel pubblico pur molto variegato, non ci sarà nessuno nato dopo il 1984, e ci si chiede se la band sarà in grado di predire il mondo post Web 2.0 con la stessa esattezza con cui di Internet ha previsto l'avvento, se l'idea di attirare nuovissime generazioni di ascoltatori, nel frattempo che si diventa vintage e quindi nuovamente di moda, appare in questo momento a sua volta ancora lontana.

Una fantasia sul perché la band sia tanto potente, nel mondo non solo della musica, forse ce la si può fare anche a partire dalla stessa struttura del set: con la sua immensa impalcatura appare quasi catturato tra le zampe di un enorme ragno verde, che ora si illumina in modo gioioso, ora diventa rosso, ora invisibile, eppure c'è; forse non tutti sanno che nel suo primo significato, il dizionario di inglese traduceva la parola “web” come tessuto, tela (anche di ragno): ragnatela; spulciando sui siti-fanzine scopriamo che in effetti il complesso scenico è soprannominato the claw, chela o pinza. E il palco del “360° tour” è visibile da ogni parte dello stadio, a 360 gradi appunto, come la piccola umanità – di cui Bono con la sua statura e le sue giacchette si pone come un rappresentante qualsiasi – nel mondo della videosorveglianza e della localizzazione GPS; così ci si chiede quante cose abbia capito, quest'irlandese che ha risanato di introiti l'economia di un'intera nazione, che è stato candidato al Nobel per la pace, che ha ottenuto un appuntamento privato con George Bush, ha colloquiato con il Papa e la Regina Elisabetta, e, sorpresa, è stato anche avvistato a un party Bohemian Grove, misterioso ritrovo di massoni ad altissimi livelli che si radunano di tanto in tanto da qualche parte fuori San Francisco, si mormora con scenari che oscillano, naturalmente, tra orge propiziatorie e falò di pupazzi antropomorfi.

Ma senza scivolare nell'immaginazione, il messaggio del gruppo appare in realtà chiaro, perché sul dorso del ragno svetta pur sempre un obelisco: simbolo a sua volta esoterico, se vogliamo, o più semplicemente religioso, sicuramente sovrastante la ragnatela perché più alto in senso etico, o filosofico, o spirituale. Quale che sia, il messaggio, e con buona pace di chi sbuffa della loro musica come di lagne per Papa-boys, trent'anni dopo i loro esordi gli U2 hanno mantenuto intatto il potere di convertire 80.000 fedeli.

A sera.

 

 


"The claw" a San Siro – Foto di Simone Miserazzi

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