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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 62 - 1 Agosto 2009 | 1 commento

Il termine barbarie



Vorrei iniziare quest'articolo facendo, insieme con quelli che ne hanno voglia, un piccolo esercizio di brain storming. Prendete un fogliettino di carta completamente bianco e scrivete al centro la parola “Barbarie”. Cerchiatela e riflettete un momento su concetti che voi associereste a questa parola: cose tipo “guerra”, “pedofilia” o “infibulazione”. Scrivete, intorno a questa parola, perdendo non più di trenta secondi, 4 – 5 concetti, costruendo una piccola mappa concettuale. Una volta finito, continuate a leggere…

Bene.

Adesso rileggete e provate a scrivere una breve, semplice ed oggettiva definizione del termine “Barbarie”. Mi raccomando, dovete essere oggettivi, la spiegazione deve essere universale, valida per tutti. Sollevate per un attimo gli occhi dallo schermo, fissandoli contro la parete bianca di fronte a voi e pensate: “Che cos'è la barbarie?”

Non è così facile eh… anche chi, senza fare l'esercizio, si è limitato a leggere, avrà provato un velo di inquietudine di fronte a questa richiesta. Eppure non dovrebbe essere così difficile: è una parola familiare, molto in voga, che ascoltiamo ovunque, dai salotti televisivi, alle cronache locali e internazionali. Eppure, non sappiamo trovare una definizione oggettiva.

Il Vocabolario della lingua italiana Devoto – Oli ci dice che la barbarie è: 1 – Condizione di vita caratterizzata da un grado infimo di civiltà e cultura e dal prevalere della forza sulla ragione, e quindi estranea o contraria al nostro modo di concepire e organizzare l'esistenza, inciviltà; 2 – Azione efferata, disumana.

La definizione offerta dal Vocabolario, per quanto astratta, ci rende l'idea della relatività del termine. Il concetto di barbarie è strettamente legato alla cultura di appartenenza del soggetto, ed è sempre e comunque caratterizzato da un sentimento di disapprovazione verso un qualcosa che viene considerato come involuto, primitivo. Poche altre parole riescono a cristallizzare in questo modo il concetto di “diverso” con quello di “peggiore”.

Ora, il motivo per cui ho voluto occuparmi di questa parola è l'uso spropositato che ne viene fatto in ogni ambito in cui viene adoperata. E' una parola forte, carica di impatto emotivo. Per gli antichi il barbaro era colui che stava oltre il confine, il diverso per razza e per cultura, spesso peggiore. Al giorno d'oggi la definizione si è evoluta arrivando a includere tra i diversi anche coloro che la pensano diversamente. Cercando “Barbarie” su Google scopriamo che questa parola viene associata all'Olocausto come all'Operazione Piombo Fuso (Israele vs palestinesi), alla pena di morte, all'infibulazione, alla pedofilia, all'aborto e alla negazione dei diritti delle donne, e indistintamente al testamento biologico e alle leggi che lo impediscono.

E' giusto che la parola barbarie abbia un significato così relativo?

1 Commento

  1. Per quanto cerchi di definire “Barbarie” sul piano linguistico o concettuale, alla fine mi rimane più di altri un “luogo” che condenserei in “carenza del lobo frontale” ovvero riducendolo ad un effetto dato da una assente funzione anatomico/funzionale. La risposta animale dell'uomo di fronte ad una emergenza o a ciò che per cultura relativa un “corpo antropico” considera tale. Così evito mille definizioni che, una per una, inquadrano il “cosa” ma non riassumono il come e perchè.

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