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Scritto da nel Itaca, Numero 62 - 1 Agosto 2009 | 0 commenti

IX – La memoria di Zenone

Itaca
Romanzo a puntate
Capitolo nove
Dove si canta l'uomo politropo
e si sperimentano teconologie nuove per la memoria
Già da qualche tempo Zenone accampava solitario tra le rovine di Troia distrutta. Il giorno pesca in mare, la sera passeggia nei ricordi dell'infanzia, la notte si rifugia in quel che rimane del tempio. La federazione achea è già all'opera per una ricostruzione, pascolano tra gli achei baccanti e aedi, con un seguito di scribani di nuovissima generazione; metodo questo degli scribani al seguito che permette di far fronte alla smemoratezza. Troia pure ha perso la sua memoria quasi per intero. Non si distinguono le vie, le case, gli alberi sono bruciati. Un deserto di macerie, più e più allontanandosi dalla costa. Un porto, nuove abitazioni vicino al porto, sono già messi in sesto. Zenone osserva tutte queste cose.


Ragazzo, vieni un po' qui – gli dice Zenone a uno scriba, uno dei tanti Pelasgi che percorrono il mediterraneo come zingari dal tempo della guerra di Argo in Tessaglia, sotto il monte Othrys. Lo scriba è già pronto a sentirsi dettare, col suo scalpellino di ferro. Scrivi questo titolo – gli fa Zenone – scrivi: La Memoria di Zenone – e lo scriba come un fulmine col suo scalpello. Fammi un po' vedere, adesso – Zenone aveva sempre immaginato, sentendo parlare della scrittura, sempre aveva immaginato che a guardare una tavola di cera segnata gli sarebbero venuti dei suoni nel pensiero. E invece niente di niente. Vabbé, andiamo avanti – dice.


Hanno distrutto Troia – tic-ta-tic, tic tic tic lo scalpellino – dove ho passato l'infanzia da straniero. Chi mi ci ha portato fuggiva da una guerra terribile, era ferito e poco dopo è morto. Di questi fatti non ho memoria, ma ricordo bene come i Troiani mi hanno allevato in quelle vie ampie che non esistono più. Mi chiamavano 'Zenone'. Gli stranieri dell'Egeo e i Greci li chiamavano quasi tutti 'Zenone', a Troia – tic-ta-tic.


Allo scendere del sole lo scriba aveva finito le tavole cerate, si trattava di prepararne altre la mattina seguente. Per giorni e giorni, mentre gli Achei ricostruiscono la città e ne cancellano ogni memoria, Zenone e lo scriba lavorano di scalpello per non dimenticare le vicende di una vita. Un gigantesco cavallo di legno era stato messo a monumento nella piazza, e lì di quando in quando vengono messe in piedi cerimonie sacramentali di sacrificio a Poseidone: uno spettacolo disgustoso. E gli aedi cantavano l'uomo politropo.
E chi è quest'uomo politropo? – si domandava Zenone.


Si cantava l'uomo politropo che grazie all'inganno ha espugnato le mura invincibili di Troia e si cantava di un guerriero invincibile che da ragazzo sua madre lo travestiva da donna per non farlo arruolare e che poi però l'uomo politropo di cui tanto si canta lo stana e smaschera e lo convince a più riprese a partecipare alla guerra e gli uccidono quindi un caro amico suo e gli rubano la schiava: tutta una serie di circostanze poco digeribili per tale eroe invincibile, e poi ecco il canto del cavallo di legno e la sconfitta troiana per merito dell'uomo politropo: Odisseo il re di Itaca.


Odisseo??!! – gli fa Zenone allo scriba – …ragazzo, vieni un po' qua…hai delle tavole pronte? – e lo scriba giù, tic tac tic ta-tic tic tic tic

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