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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 62 - 1 Agosto 2009 | 0 commenti

Making worlds – Biennale 2009

Rullo di tamburi! Aspettavo con ansia questa Biennale, la 53° Biennale d’Arte Internazionale, la più antica del mondo (e anche la prima), la madre di tutte le Biennali, che oggi nascono come i funghi nei boschi. Insomma la Biennale di Venezia, inutile dirlo, si aspetta sempre con grande ansia, che si sia del settore o meno.

Sono stato all’inaugurazione per addetti ai lavori, artisti, curatori ecc. e l’idea che mi ero fatto non era poi così malvagia, ma per essere obiettivi bisogna vedere il soggetto o l’oggetto più di un volta per stilarne un pensiero che sia fedele alla realtà. Ho aspettato che il polverone mediatico si placasse, per poter scrivere un pezzo che analizzasse nel profondo questa Biennale, così appena mi sono reso conto che la polvere iniziava a depositarsi, sono andato alla volta dell'esposizione munito di moleskine e del mio inseparabile zaino.

Quest’anno la Biennale è colossale, sono 72 i paesi partecipanti e per la prima volta nella storia di questa istituzione sono stati invitati a partecipare anche gli Emirati Arabi Uniti, con un loro padiglione che ha sede nelle artiglierie dell’arsenale.

Cominciamo dai Giardini, sede storica della manifestazione che quest’anno ha subito un cambiamento radicale. Quello che è stato per anni il Padiglione Italia, ora è il Padiglione delle Esposizioni (che comprenderà anche l’archivio della Biennale, e che si dice, rimarrà tutto l’anno a disposizione di chi ne voglia fare uso), mentre il Padiglione Italia è stato trasferito all’Arsenale.

I Giardini di per sé hanno il fascino del mito: di qui sono passati tantissimi artisti e curatori che hanno fatto la storia dell’arte. È sempre molto bello entrare in questo immenso spazio perché in base alla disposizione dei padiglioni nazionali, si ha la sensazione di avere davanti l'utopia di un mondo perfetto.

Il padiglione della Russia merita davvero, è talmente interessante che ci sono rimasto dentro tanto quanto un bambino davanti ad un giocattolo in vetrina. Ugualmente interessante era il padiglione spagnolo, dove le grandi tele di Barcelò mi hanno letteralmente rapito.

I padiglioni della Grecia, della Germania, del Brasile e del Canada sono simpatici ma niente in confronto al padiglione di Nauman che altro non è che il padiglione degli USA. Quest’anno gli Stati Uniti hanno presentato uno dei loro più grandi artisti, Bruce Nauman, uno che di certo meritava tutte le sedi espositive che gli hanno concesso (ne ha tre sparse per Venezia). Interessante il padiglione inglese di Steve McQueen: per vedere il suo video, vale la pena di farsi venti minuti di fila.

Dai Giardini ci spostiamo all’Arsenale, e qui l’aria cambia. Michelangelo Pistoletto è uno dei grandi nomi dell’arte italiana contemporanea e per lui faccio il discorso che farei per Sandro Chia. Meno male che ci sono dei maestri così importanti, perché a parte loro, di italiani bravi in questa Biennale, ce ne sono pochi. Ci sono il duo Bertozzi & Casoni (la loro istallazione ceramica è davvero notevole), Valerio Berruti che con la sua “Figlia di Isacco” (con musiche di Paolo Conte) è davvero leggero e profondo allo stesso tempo. Meritano anche i Masbedo, gruppo video che con il suo lavoro lascia di stucco anche grazie alle musiche dei Marlene Kuntz.

Dicevo l’aria cambia e a parte la prima sala che definirei davvero uno spettacolo, c’è poco da dire del resto. Paul Chan con il suo video non racconta molto a parte l’atto sessuale di gruppo, che di per sé, visto così senza una spiegazione, non dice poi molto, oltre al fatto che possa essere una provocazione. Invece a me, che ho avuto la possibilità di parlare con Chan, ha detto che più che provocare, lui voleva raccontare un fatto realmente accaduto negli Usa non troppo tempo fa. Avrebbe fatto bene a segnalarlo nella didascalia, in maniera che il racconto fosse più chiaro.

La pittrice Wang Tian Tian, a me non dice nulla e forse neanche agli altri visitatori della sala dato che sono tutti fermi a guardare i video intorno o le sculture di Haegue Yang e nessuno si sofferma a vedere queste tele dislocate per la parete a rappresentare momenti diversi di combustione di vari elementi (la casa che va a fuoco, il vulcano che erutta….).

Proseguendo si arriva alla sala di Joan Jonas: le darei un Leone d’oro alla carriera (piuttosto che a Yoko Ono che con la sua performance dei primi giorni non ha fatto altro che scomodare di nuovo la famosa Imagine del suo primo defunto marito). I due video della Jonas sono davvero interessanti e questo lavoro così capillare di ricerca e con così tanta qualità è davvero un tributo alla vita.

Si arriva alla fine delle artiglierie con le “Mani di Buddha” e l’inizio di altri padiglioni nazionali quello dell’IILA (Istituto Italo Latino Americano) padiglione che merita a mio avviso particolare attenzione, in quanto l’arte latino-americana negli ultimi anni emerge con prepotenza pari a quella cinese, solo che se ne parla poco. Ultimo tra tutti, è molto bella da vedere la torre che è stata data all’artista indiano Nikhil Chopra che attraverso un personaggio immaginario (che lui stesso interpretava durante i giorni della vernice) ha creato un ambiente post coloniale bellissimo.

Finito il tour con Chopra si può uscire sul nuovo ponte che collega l’Arsenale alla parte più vecchia della città, la zona di San Piero di Castello con la vecchia cattedrale di Venezia. Al mio passaggio sul ponte, incontro una signora che viene in senso opposto, per entrare all'esposizione: mi ferma e mi chiede cosa ne pensassi. Io le indico che entrando lì dentro potrebbe rimanere stupita e lei sorridendo mi fa: “ho visto così tante cose giovanotto che non vedo l’ora di vedere cose che continuano a farmi stupire”. Potere dell’arte.

 

Biennale d’Arte internazionale di Venezia, dal 6 giugno al 22 novembre 2009
Info www.labiennale.org

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