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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 63 - 1 Ottobre 2009 | 0 commenti

Giappone: dalla caduta alla speranza

Nel maggio del 1989 l'Atlantic Monthly, una delle più antiche riviste americane di critica culturale e politica, lanciava dalle sue pagine un grido di allarme verso il più forte e scomodo vicino degli Stati Uniti. Con il titolo "Containing Japan" la rivista dava voce a quei timori che tanti negli USA e in Europa sentivano nei confronti del Paese del Sol Levante, della sua crescita sbalorditiva che destava ammirazione e sospetto. Per tre decenni il PIL era cresciuto costantemente: del 10% annuo negli anni '60, del 5% negli anni '70, e del 4% negli '80. Il Ministero del Tesoro giapponese, le grandi banche ed i gruppi finanziari nipponici si muovevano su tutto lo scacchiere globale con i loro investimenti, ed erano i principali detentori di titoli di debito pubblico americani.

Sono passati venti anni da quell'articolo dell'Atlantic, ed in pochi si ricordano ancora di quando i paesi occidentali temevano di essere acquistati in blocco dai giapponesi.

Come fosse un ultimo canto del cigno, la crisi giapponese scoppiò pochi mesi dopo l'appello dell'Atlantic, e condannò il Paese a oltre dieci anni di stagnazione. Da allora il Paese che dava lezioni di business e spregiudicatezza al resto del mondo si è trasformato nel più grande malato tra le economie sviluppate, e tutti gli esperti, gli economisti, i politologi, e gli analisti finanziari hanno trovato un nuovo passatempo: dare consigli ai giapponesi per uscire dalla crisi. La ripresa alla fine è arrivata, ma solo nel 2005, e a soli tre anni dalla più grande crisi globale del dopoguerra. Inutile che questa crisi ha colpito pesantemente il Paese, e cosà ecco di nuovo la produzione contrarsi, la disoccupazione salire, ed il grande nemico dell'economia giapponese -la deflazione- riaffacciarsi e minacciare nuovamente la crescita nel breve e nel medio periodo.

Anche sul fronte sociale i problemi non mancano. Il Giappone è il paese con la maggior quota di individui anziani sul totale della popolazione, i giovani sono minoritari, demotivati e frustrati: vivono senza troppe speranze per il loro futuro una vita da precari, accanto alla generazione dei loro padri che è cresciuta quando il Paese pensava di poter essere la futura grande potenza mondiale, ed il lavoro era garantito, ben pagato, e sicuro.

Eppure, in questo contesto di decadenza e stagnazione, i giapponesi hanno deciso di sperare in una nuova partenza. La speranza ed il cambiamento sono stati, come per le recenti elezioni USA, il tema centrale della campagna elettorale per l'elezione del Parlamento. E sul cambiamento ha puntato il Partito Democratico Giapponese, la principale forza di opposizione allo strapotere del Partito Liberal-Democratico, che governava il Paese ininterrottamente da oltre 50 anni. Ed infine il cambiamento è arrivato, nella forma di una schiacciante vittoria del PDG che ha ottenuto una larga maggioranza di seggi.

La nuova maggioranza, ed il governo che è stato formato da pochi giorni dal Primo Ministro Hatoyama, devono adesso riuscire a dare risposte concrete alle speranze che sono state riposte su di loro dalla stragrande maggioranza degli elettori. Non sarà opera semplice. Durante la campagna elettorale Hatoyama ha sottolineato la necessità di rimettere mano al welfare, aiutando le giovani coppie ed i giovani lavoratori. Sul fronte macroeconomico il Partito Democratico sembrerebbe intenzionato a far ripartire la domanda interna attraverso politiche di investimenti pubblici di stampo neokeynesiano. Nel campo energetico Hatoyama ha affermato di voler tagliare le emissioni del 25% nei prossimi 10 anni: un obiettivo ambizioso che pone il Giappone tra i leader mondiali della lotta al riscaldamento globale, sebbene solo un anno fa il Paese abbia ottenuto il record negativo di +16% rispetto agli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto.

Infine, sul fronte della politica estera, ampio spazio si è dato sui giornali internazionali (e anche italiani) alle dichiarazioni del neo-premier riguardo alla necessità di rivedere i legami tra Tokyo e gli USA, ed in particolare la presenza dei militari americani sul suolo giapponese. A questo riguardo, però, la prima mossa concreta di Hatoyama, la scelta del moderato Katsuya Okada come Ministro degli Esteri, sembra far presagire che i rapporti tra Giappone e Stati Uniti non siano destinati a subire particolari stravolgimenti.

Ma i critici del nuovo governo fanno notare come per la gran parte di questi obiettivi non ci sia ad oggi alcuna chiarezza sulle concrete politiche che si vogliono implementare. Non è chiaro come si potranno trovare risorse per ristrutturare il welfare, che è fin troppo generoso nei confronti degli adulti e degli anziani, e non fornisce quasi alcuna tutela a chi ha meno di 40-45 anni. Non è chiaro come si troveranno i capitali per le politiche di investimenti pubblici. Anche in questo caso il Paese è fermo da tempo, ma le risorse pubbliche sono scarse e perlopiù rivolte a finanziare il sistema burocratico e clientelare che si è sviluppato in 50 anni di governo del PLD. Gli obiettivi energetici sono ambiziosi ma già hanno generato una opposizione forte da parte degli industriali, che ritengono il sistema produttivo giapponese sufficientemente efficiente e chiedono sostegno alle imprese in questa fase di recessione.

A guardare bene, le sfide che il Giappone deve affrontare nel suo prossimo futuro (welfare, investimenti, energia) sono anche le nostre sfide ed il successo nell'affrontarle potrebbe aprire una nuova era per il Sol Levante, nella quale il Paese ritorni ad essere esempio da ammirare e imitare per il resto dell'Occidente. L'alternativa è una nuova spirale disinflattiva, il protrarsi della stagnazione economica, il fallimento dell'opera di contenimento del riscaldamento globale, ed il ritorno della disillusione e della decadenza.

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