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Scritto da nel Internazionale, Numero 64 - 1 Novembre 2009 | 1 commento

Israele – Palestina. Non v'è muro con un lato solo

Israele – Palestina. Non v'è muro con un lato solo

Google Earth illustra in maniera inequivocabile le ragioni che nel 2004 portarono la Corte internazionale di Giustizia, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, a dichiarare l'illiceità della costruzione del muro israeliano sul territorio palestinese occupato (Gerusalemme Est compresa): “il tracciato scelto per il muro consacra sul terreno le misure illegali adottate da Israele, e deplorate dal Consiglio di sicurezza, riguardanti Gerusalemme e le colonie”. (Corte internazionale di Giustizia, Parere consultivo, 9 luglio 2004, § 122).

Quella stessa Corte denunciò gli effetti inevitabili che la costruzione del muro di separazione avrebbe provocato: l'allontanamento forzato delle popolazioni palestinesi, il rischio di nuovi sovvertimenti della composizione demografica del territorio palestinese occupato, ed in ultima analisi, la violazione dell'obbligo per Israele di rispettare il diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese.

Questo luglio siamo scesi dal satellite e, toccando terra, abbiamo sfiorato il muro. Io di qua, tu di là.

Di qua (Lorenzo)

Il disincanto di Tel-Aviv, ovvero il canto dei racchettoni sul lungo mare, è il vanto di coloro che rivendicano l'edificazione del muro a garanzia della sicurezza degli israeliani. A metà luglio, realizzo il sogno di abitare la città più libera del Medio Oriente: prima tappa di un viaggio musicale in Palestina dei celeberrimi Lou del Bello's (ska-band bolognese, a me cara) ed è qui che lavora la maggioranza degli interlocutori (militari ed accademici) che ho contattato per la mia tesi di dottorato sulle guerre asimmetriche.

Di là (Luana)

A Betlemme, superato il labirintico check-point, dove gabbie, attese e filo spinato non riescono a temperare gli approcci amorosi di un soldato verso la sua omologa, montiamo le tende – copia conforme di quelle onusiane che ospitarono i rifugiati palestinesi nel 1948. I bambini (originali questa volta) dell'Azzah Camp, un piccolo campo profughi di Beit Jebrin, possono così lasciare le strette strade ed i soliti muri per un campo estivo in collina. Alle tende, però, i bambini preferiranno le stelle.

Invitati da un'amica bolognese trasferitasi in Palestina, coi Lou del Bello's abbiamo animato dei laboratori di canto, percussioni e danza. E nonostante l'organizzazione elastica del tempo, sempre in mutamento, siamo riusciti a incuriosirli, a divertirci insieme e pure a fare due spettacoli sul palco…

Di qua (Lorenzo)

Come per il muro del suono, più ti avvicini alla sua soglia e più senti la pressione aumentare, fino allo scoppio finale. Vuol dire che sei passato dall'altra parte, ed è sempre una liberazione. Dal fondo dell'autobus che da Gerusalemme mi porta al check-point di Betlemme, un'ebrea ortodossa m'invita, per rispettare le sue regole, a spostarmi e raggiungere gli uomini davanti. Qui, però, sono l'unico sprovvisto di basette coi boccoli. Due giorni dopo, il taxista a cui mi rivolgo per l'ultimo tratto verso l'enclave palestinese di Qalqilya (vedi foto) prima mi guarda come fossi matto, poi mi chiede il passaporto ed infine mi triplica il prezzo.

Di là (Luana)

Qalqilya, dove siamo invitati per una festa di matrimonio, è letteralmente fasciata da un muro di cinta. Come nel Medio-Evo. Salvo che l'architetto ha invertito la destinazione degli spazi: i barbari oggi stanno dentro. In pochi anni, la città ha dimezzato i suoi abitanti: erano 40.000, sono rimasti in 20.000, chi ha attività economiche non sa come farle andare avanti. Questo però non rovina un matrimonio. E nemmeno vi riesce la separazione tra donne e uomini: questi, come cavalli imbizzarriti, saltano su un grande piazzale al suono di una band, mentre noi ragazze rimaniamo con le parenti della sposa in un sotterraneo a ballare e a farci decorare con l'henna.

Di qua (Lorenzo)

Il muro unisce. La fotografa che mi ospita nella sua casetta stilosa di Neve Tsedek, un quartiere di Tel-Aviv in piena trasformazione, risponde secca alla mia richiesta di estendere l'autoinvito ad un'amica che, per il Comitato internazionale della Croce Rossa, visita le persone detenute nelle carceri di Nablus: “Venga pure! Anche noi qui siamo in prigione!”. Affare fatto.

Di là (Luana)

Ad Hebron, il muro sfida la forza di gravità. Orizzontale, seziona le case della città storica a metà. Sotto, i negozi palestinesi sono in maggior parte chiusi, quando la città era il cuore economico della West Bank; sopra, i coloni israeliani gettano sui loro vicini pietre, acqua bollente e rifiuti, che vengono così filtrati dalla rete di protezione.

Infine, Gerusalemme Est, la reclamata capitale della Palestina. Il muro ha chiuso porte e finestre ad UmKamel, una signora di 70 anni che vive in una tenda e racconta a chi desidera fermarsi che le vittorie in tribunale non sono bastate ai soldati israeliani che, di notte, l'hanno sfrattata insieme al marito. Sepolto quest'ultimo, gravemente malato, la signora vive in strada in una tenda. Senza muri.

Attraverso

Il nostro racconto non può che terminarsi con il gesto surrealista di quell'amica, volontaria internazionale che, per distrazione, dimentica di frenare il suo 4×4 al check-point di Betlemme, incrinandone l'asta metallica. Ci piace leggere nell'indolenza della reazione dei tre soldati israeliani di guardia un “laisser-faire” propiziatorio.

1 Commento

  1. Bellissimo questo ping-pong fra le due parti del muro. Leggero e profondo.

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