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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 64 - 1 Novembre 2009 | 1 commento

L'unificazione economica della Germania

Al giorno d'oggi i politici tedeschi considerano l'unificazione del Paese come una storia di successo. D'altra parte, per quanto riguarda l'unificazione economica, la questione è ben più che opinabile. In effetti sono molti gli economisti che la ritengono un completo disastro.[1]
 
L'evento centrale è rappresentato dall'unificazione economica e monetaria del 1° Luglio del 1990. Il modo in cui questa riforma è stata realizzata ha irreversibilmente definito le condizioni economiche ed il percorso di sviluppo dei nuovi Lander tedeschi, che sarebbero stati annessi alla Repubblica Federale tre mesi dopo, il 3 Ottobre. La riforma ha stabilito l'immediata e completa integrazione della ex-Germania socialista nell'economia di mercato. Ad essa ha fatto seguito la più forte depressione economica che un Paese industrializzato abbia mai sofferto in tempo di pace: la produzione industriale è caduta del 49% già alla fine del 1990, e nel 1991 essa era pari ad un terzo del suo livello precedente all'unificazione economico-monetaria.[2] L'occupazione si è quasi dimezzata in meno di 2 anni: gli occupati si sono ridotti da 9.5 a 5 milioni ai primi del 1992.

Di fronte a questi numeri, la domanda più spontanea è: Perchè il collasso economico è stato ben più peggiore delle stime più pessimistiche? Poteva essere mitigato? Le dimensioni della crisi appaiono ancora più incomprensibili se si considera che la Germania Est ha affrontato la transizione in una posizione relativamente privilegiata rispetto agli altri ex-Paesi comunisti: non solo aveva la Repubblica Federale come un "grande fratello" al suo fianco che gli forniva massicci aiuti finanziari, ma ha adottato fin dall'inizio le ottime istituzioni politiche e legislative della Germania Ovest, una condizione necessaria per il buon funzionamento di un'economia di mercato. Ciononostante, è stata colpita più duramente di tutti i suoi "ex-fratelli" della cortina di ferro.

L'economia della DDR è stata spesso descritta come caratterizzata da stock di capitale di pessimo livello, ed alti livelli di inquinamento. Ma oltre a ciò, vi era una serie di inefficienze profonde a livello delle singole imprese che la rendeva meno competitiva rispetto ad un'economia di mercato. Poichè la “raison d’être” di un'impresa in una economia centralizzata di piano è soddisfare i piani di produzione definiti dal governo centrale, essa manca degli incentivi a trasferire la tecnologia, innovare, ed investire nel miglioramento del know how. Inoltre, il sistema di allocazione centrale delle risorse genera una serie di difetti organizzativi: dimensioni del magazzino eccessive, cattiva organizzazione del personale, scarso sviluppo dei processi di commercializzazione. Inoltre, le imprese svolgevano il ruolo di "circoli sociali", dove l'attività produttiva talvolta ricopriva un ruolo secondario per evitare "l'alienazione dell'uomo dal suo lavoro", come affermato da Marx. Questo sistema di incentivi avversi tanto all'interno delle imprese che tra loro ed il governo si completa con l'utilizzo di prezzi non definiti dal mercato, che non rifletto le effettive scarsità relative (in effetti, le scarsità si riflettevano in lunghe code piuttosto che in prezzi elevati). I prezzi relativi, dunque, si sono modificati drammaticamente quando l'economia si è esposta alla dura realtà del sistema capitalistico. Il cambiamento dei prezzi relativi ha determinato la necessità di enormi investimenti per riassestare il processo produttivo e l'organizzazione dell'impresa, dopo l'unificazione. Queste inefficienze legate al sistema di piano sono in parte responsabili della depressione economica che ha caratterizzato tutti i Paesi post-comunisti. Sono state particolarmente importanti per la DDR, che era maggiormente fedele all'ideologia comunista rispetto agli altri Paesi dell'Europa Orientale.

Aldilà dei vincoli ereditati dal passato, il governo di Bonn è stato duramente criticato non solo per la scelta di unire economicamente le due Germanie in modo istantaneo, ma anche per la politica del tasso di cambio con la quale è stato deciso come la moneta della DDR (Ost-Mark) potesse essere convertita nel Marco della Repubblica Federale (West-Mark). Va detto che determinare il valore dell'Ost-Mark era tutt'altro che facile: non esisteva un tasso di cambio ufficiale, la moneta non era commerciata sul mercato internazionale delle valute, ed il tasso di cambio sul mercato nero (che variava da 1:3 a 1:10, West-Ost) non era certamente rappresentativo del valore della valuta.
Per valutare il valore dell'Ost-Mark, serviva determinare la differenza nel potere d'acquisto delle due monete. Ma come determinare il potere d'acquisto della valuta della DDR, la cui popolazione avrebbe modificato enormemente i propri comportamenti di consumo una volta che avesse avuto accesso ai prodotti presenti sul mercato della Germania Ovest, di cui erano privi da decenni? Come quantificare il potere d'acquisto nella Germania Est, dove il ruolo della moneta era completamente diverso? La decisione presa dal governo di Bonn è stata la seguente: le variabili di flusso, come rendite, pensioni e, in particolare, salari dovevano essere convertiti 1:1; le variabili di stock, come i debiti e le passività, venivano convertiti in rapporto 2:1. Il fatto che i salari siano stati convertiti in rapporto 1:1 viene considerata oggi come uno dei principali fattori che ha peggiorato la crisi economica. Tale rapporto sarebbe stato giustificato se la produttività nell'Est fosse stata pari a quella nell'Ovest, e questo non era certamente vero. In effetti, i salari negli altri Paesi ex-comunisti si sono assestati al 30% dei salari della Germania Federale. In molti pensano oggi che un livello salariale più basso avrebbe consentito a molte imprese di salvarsi, riducendone la perdita di competitività. Le imprese della Germania Est si trovarono tutto d'un tratto ad operare in condizioni molto difficili: da un lato il costo del lavoro era cresciuto notevolmente, dall'altro i beni prodotti dovevano ora affrontare la competizione tecnologica della Germania Occidentale. Infine, i loro prodotti erano stigmatizzati con l'etichetta "made in DDR": un sinonimo di bassa qualità. In breve, hanno dovuto affrontare un'economia di mercato senza avere mercato. Complessivamente, il regime di cambio adottato si è dimostrato favorevole per i consumi, ma ha avuto effetti estremamente negativi per il settore produttivo.

E' notevole il fatto che, nonostante questa terribile recessione economica, i cittadini della Germania dell'Est non si siano sentiti sconfitti subito dopo l'unificazione. Agli inizi degli anni '90, tanto il tasso di cambio favorevole (in quanto consumatori) quanto le aspettative alimentate soprattutto dalle promesse irrealistiche dei politici avevano reso i nuovi cittadini della Germania Federale molto ottimisti rispetto al loro futuro. Da allora, poi, enormi ammontari di denaro sono stati trasferiti ai nuovi stati – si stima intorno agli 1,2 miliardi di Euro tra il 1991 ed il 2003. Ciononostante, il panorama economico della Germania oggi, a 19 anni dall'unificazione, ancora mostra un enorme gap nelle performance tra gli Stati della Germania Ovest e quelli dell'Est. Ci sono poche speranze che gli standard di vita ed il reddito annuo nei nuovi Lander raggiungeranno quelli dell'Ovest entro il 2019, come il governo federale ha invece previsto. In quell'anno, il sistema di trasferimenti pubblici (Solidarpakt II) finirà

 

[1] Si veda, per esempio, Ulrich Busch: „15 Jahre Währungsunion – Ein kritischer Rückblick.“ http://www.linksnet.de/de/artikel/19307
[2] Tutti i dati provengono da „Jumpstart – The Economic Unification of Germany“. Sinn & Sinn. The MIT Press, 1992

(Traduzione di Francesco Manaresi)
 

1 Commento

  1. Schön
    Artikel. Chiaro, che spiega con dati e ragionamenti semplici problemi passati, presenti e forse futuri della Germania.
    Complimenti

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