Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 64 - 1 Novembre 2009 | 2 commenti

The Wall – il muro che non cade mai

6 luglio 1977. I Pink Floyd suonano al Montreal Olympic Stadium per l’ultima data dell’ “In the Flesh Tour”, tour che ha seguito l’uscita di “Animals”, l’ottavo album della band pubblicato nel gennaio del ‘77.
E’ l’ultima data di un tour mondiale particolarmente faticoso durante il quale i rapporti all’interno del gruppo si sono mano a mano incrinati.
Da una parte David Gilmour, fin dagli esordi il più realista e concreto dei quattro, sente che il gruppo sta toccando il suo apice ed è preda di un profondo senso di smarrimento.
Dall’altra Roger Waters, ossessionato dall’incubo dell’incomunicabilità con il pubblico, comincia a soffrire di lievi disturbi della personalità che lo rendono vittima di violenti ed incontrollati scatti d’ira nonché di atteggiamenti egocentrici ed intolleranti.
Il ragazzone di un tempo col caschetto beat, goffo e timido, della copertina del primo album “The Piper at the gates of dawn” di dieci anni prima, è cambiato molto. Nel ‘68 ha saputo in qualche modo superare la drammatica perdita dell’amico Syd Barrett, talentuoso leader e spirito geniale del gruppo, risucchiato definitivamente dal tunnel lisergico.
Animals” è un album di transizione, il primo album dei Pink Floyd che prova a distaccarsi da una visione intimista per allargare lo sguardo al quadro sociale e “politico”.
E’ un album con il quale il gruppo tenta “l’uccisione del padre”, Syd Barrett, la fiamma primigenia dei Pink Floyd, evocato e celebrato in tutti gli album dal ‘68 in poi fino all’ultima epica dichiarazione d’amore di “Wish you were here” del ‘75.
Dopo i due concept album sulla malattia mentale e sull’assenza, “The dark side of the moon” e “Wish you were here”, “Animals” si configura come un’opera dal forte messaggio politico, un evidente omaggio reso al romanzo di George Orwell (La fattoria degli animali).
La società strutturata per caste ineguali degli animali è la metafora ideale per veicolare un più profondo monito sociale: mai abbassare la guardia nei confronti delle ideologie e dei totalitarismi.
In “Animals farm” di Orwell il bersaglio principale è lo stalinismo, la forma di governo totalitaria che aveva preso il sopravvento sugli intenti utopici dei rivoluzionari russi del 1917.
In “Animals”, invece, i Pink Floyd si servono dell’allegoria antropologica orwelliana per additare il capitalismo come l’ideologia totalitaria capace ormai di soggiogare le masse a ovest del muro.
Passata la baldoria consumista e spensierata degli anni 60, gli anni 70 si erano infatti aperti all’insegna della crisi economica di ritorno e di un’atmosfera incupita che non si vedeva dai tempi della guerra. Il 1976 era stato un anno particolarmente terribile per l’economia inglese, l’inflazione e la disoccupazione avevano raggiunto livelli inattesi e il malessere sociale diffusosi in Gran Bretagna era pian piano sfociato in scioperi di massa quando non in guerriglie urbane[1] [2].
Ma ritorniamo al 6 luglio 1977. I Pink Floyd suonano al Montreal Olympic Stadium per l’ultima data dell’ “In the Flesh Tour”.
Dopo aver suonato tutto “Animals” e tutto “Wish you were here” il gruppo saluta il pubblico e si ritira nel backstage. Il primo bis è annunciato dal suono delle monete di “Money” che manda in delirio il pubblico. Il gruppo riappare ed esegue “Money” e “Us and them” , forse i due pezzi di maggior critica sociale presenti in “The dark side of the moon” e più in linea con l’ultima fase artistica dei Pink Floyd.
Alla fine di “Us and Them”, il gruppo saluta e se ne va nuovamente ma il pubblico non accenna a voler abbandonare lo stadio; fischia, urla, si agita perché il gruppo torni dal backstage e suoni ancora. Roger Waters guarda la scena da dietro al palco. Il pubblico non si dirada, al contrario, fischia, urla, batte le mani e lancia invettive al gruppo.
- Ma come? Dopo due album interi suonati dal vivo e un bis del genere non sono soddisfatti e ci offendono pure? – I roadies hanno già cominciato a smontare la strumentazione del palco. Waters avvicina i compagni e gli propone di salire sul palco di nuovo per suonare. Gilmour, contrariato dal comportamento tenuto dal pubblico durante tutto il concerto, non ci sta e cosi solo Waters, Wright e Mason ritornano sul palco.
Waters esordisce sul palco con le parole: “Since we can't play any of our songs, here's some music to go home to" e il gruppo attacca un’improvvisazione blues, durante la quale Waters di tanto intanto invita il pubblico ad andarsene cantando provocatoriamente “drift away[3].
Il pubblico non è soddisfatto, continua a fischiare e ad urlare. – Dov’è Gilmour? Vogliamo un pezzo, non un noioso blues. – E lì Waters perde la pazienza. Fuori di sé, comincia a offendere il pubblico, si avvicina a un gruppo di contestatori sotto al palco e sputa in faccia ad uno di loro dopodiché prende e se ne va.

 

Si dice che fu quest’episodio la scintilla che ispirò a Waters l’idea di un concept album sull’incomunicabilità. Tornato a casa profondamente turbato per il suo gesto durante il concerto di Montreal, Waters si mette subito al lavoro sul nuovo album, un’opera rock il cui argomento sarebbe stato il muro invalicabile che lo separava dal suo pubblico, dai suoi affetti, dai suoi amici.
Waters lavora in solitudine alla scrittura dei testi e delle musiche dall’autunno del 1977 fino al luglio del 1978. Sulla scia di “Tommy” degli Who e di “Arthur” dei Kinks, Waters crea Pink, un personaggio in parte autobiografico che, a causa della morte del padre in guerra[4], di una scuola retrograda ed opprimente (“Another brick in the wall”), di una madre iperprotettiva (“Mother”) e di una vita da rock star alienante, si barrica dietro un muro psicologico invalicabile che nel proteggerlo dall’esterno lo soffoca inesorabilmente trascinandolo nella follia (“One of my turns”). In “The wall” Waters ricongiunge il tema dell’individuo e della sua follia, da sempre al centro della poetica pinkfloydiana, con quello della massa e del malessere psicologico delle masse. Waters si serve di Pink per fare un’autoanalisi, che lo porterà ad una maggiore consapevolezza della propria condizione psicologica attraverso un processo creativo e di catarsi.
L’album è stratificato su più livelli narrativi, come i tanti mattoni che costituiscono il muro di incomunicabilità che è l’oggetto dell’intera opera. Questo rende la storia di Pink a tratti confusa, anche a causa dei continui ripensamenti durante la scrittura dei brani e dei cambiamenti repentini di scaletta dell’ultimo minuto. Nella composizione del disco Waters ha dichiarato di aver attinto principalmente a tre fonti d’ispirazione. Una strettamente autobiografica (la morte del padre ed un’educazione rigida), una che deriva dall'osservazione attenta dei rapporti sociali (in primis la paradigmatica incomunicabilità dei rapporti di coppia) e, infine, una legata all’artificio narrativo.
 
The wall” uscì il 30 novembre del 1979[5], dieci anni prima della caduta del muro di Berlino. Si trattò di un evento planetario e le radio di mezzo mondo cominciarono a trasmettere “Another brick in the wall part 2” che di lì a poco divenne un pezzo simbolo, segnando irrimediabilmente l’immaginario degli adolescenti della fine degli anni 70 e non solo[6].

 

Anche se “The wall” non conteneva nessun riferimento al muro di Berlino[7], i Pink Floyd erano da sempre molto amati sia nella Germania dell’Ovest che nella Germania dell’Est dove l’uscita di “The wall” ebbe una risonanza eccezionale[8].
La Germania Ovest era, insieme all’Inghilterra e agli Stati Uniti, il paese dove il disco ottenne il maggior successo, arrivando al vertice della classifica e rimanendovi per quindici settimane. Non a caso, il monumentale tour di “The wall” prevedeva 31 concerti in quattro città, e, dopo aver toccato Los Angeles, New York e Londra, sbarcò nel febbraio del 1981 a Dortmund, per 8 date.

 

Il 17 giugno del 1981 i Pink Floyd suonano insieme per l’ultima volta all’Earls Court di Londra nell’ultima data del tour di “The wall” e, da lì in poi, le loro strade si dividono.  
Settembre 1989. Da quattro anni Roger Waters ha lasciato i Pink Floyd che, dopo una breve battaglia legale, sono riusciti a restare in possesso del nome del gruppo. Gli ultimi due album sono stati scritti quasi interamente da Waters, mentre gli altri membri del gruppo erano alle prese con dischi solisti di discutibile spessore, con qualche problema di dipendenza dalla cocaina, e con un Mason “pulito”, ma dedito alla sua grande passione: le macchine sportive da corsa[9]. Prima di abbandonare il gruppo, Waters vedeva i compagni come un fardello ed era certo che, una volte che avesse li avesse lasciati, i Pink Floyd si sarebbero dissolti.
Invece, vinta la causa per l’attribuzione del nome, Gilmour si rimbocca le maniche, recupera Mason e il redivivo Wright e pubblica “A momentary lapse of reason”, disco che rilancia i Pink Floyd su scala mondiale e la cui uscita è seguita da una lunghissima tournée il cui apice è rappresentato dal megaconcerto di Venezia del 14 luglio 1989.

Per Waters e il suo straripante ego una bella batosta.

 

Il 23 agosto del 1989 l’Ungheria comincia lo smantellamento del muro che la divideva dall’Austria. Molti abitanti della Germania Est, spostatisi in Ungheria con il pretesto delle vacanze estive, rifiutano di rientrare all’interno dei confini della DDR e cercano di attraversare il confine con l’Austria. In poche settimane, più di 25.000 persone riescono ad raggiungere la GDR, passando dall’Ungheria e dall’Austria, aprendo la prima falla che porterà, dopo poco più di due mesi alla definitiva caduta del muro.
Gli occhi del mondo sono puntati sul muro di Berlino. Roger Waters segue l’evolversi degli eventi, ritorna con la mente al “suo” muro, “The wall”, e, in un’intervista radiofonica del luglio 1989, dichiara che avrebbe rimesso in scena “The wall” soltanto se il muro di Berlino fosse caduto.
Poco più di tre mesi dopo, il 9 novembre 1989, dopo 28 anni di dolorosa separazione, la Germania è di nuovo unita.
Dopo diversi mesi di preparazione, il 21 luglio del 1990, Waters mantiene la parola data e mette in scena “The Wall” nella riunificata Berlino. 450.000 persone assistono al concerto nella Postdamer Platz di Berlino, più di un milione di spettatori tedeschi seguono il concerto in diretta televisiva o radiofonica e 500 milioni di persone nel mondo seguono la diretta trasmessa in 52 paesi.  
Il concerto di Berlino è un evento simbolico enorme, una gigantesca festa alla quale partecipa l’intera città. L’opera rock “The wall” ormai è diventata un colossal al quale prendono parte decine di musicisti e centinaia di tecnici. Le orchestrazioni del concerto sono affidate alla Deutsches Symphonie-Orchester Berlin l’orchestra sinfonica di Berlino, relegata nella Germania Est fino alla caduta del muro. C’è aria di festa. Ma soprattutto c’è aria di libertà.
La Germania Ovest ha appena vinto la Coppa del Mondo in Italia e i giovani dell’ex DDR possono per la prima volta assistere ad un megaconcerto rock.   
Durante il concerto, un muro fittizio viene innalzato, mattone dopo mattone, tra i musicisti ed il pubblico. Il significato di “The wall” è ancora lì, mai tanto attuale come allora, per il pubblico come per Waters: siamo liberi, ma ricordate che tanti altri muri devono ancora cadere, quelli che sono dentro e fuori di noi.
 
2 luglio 2005. Ventiquattro anni dopo l’ultimo concerto insieme, gli ormai sessantenni Waters, Gilmour, Wright e Mason sono di nuovo riuniti sul palco per il Live Aid. Anche il muro fra Waters e Gilmour, Wright e Mason, è finalmente caduto. Durante l’intro di “Wish you were here” Waters, visibilmente emozionato, dice: “It's actually quite emotional, standing up here with these three guys after all these years. Standing to be counted with the rest of you. Anyway, we're doing this for everyone who's not here, particularly, of course for Syd”. 
 
6 luglio 2006. Il “diamante pazzo” Syd Barrett, che ha dato vita all’intera avventura dei Pink Floyd, muore nella sua casa di Cambridge dove è rimasto per molti anni, tanto isolato quanto rimpianto.

 

 

 

 

 

 

Grazie a Francesca Funghini per la rilettura, le correzioni ed i consigli.




[1] L’economia inglese ha subìto un declino significativo tra gli anni 60 e gli anni 70, o per meglio dire, è cresciuta meno rispetto agli altri grandi paesi industrializzati. In termini di Pib per abitante la Gran Bretagna si collocava al nono posto fra i paesi industrializzati nel 1961, al tredicesimo nel 1966, al quindicesimo nel 1971 e al diciottesimo nel 1976 (Fonte: “The British Malaise”, Roderick e Stephens – 1982).
[2] L’unica nota positiva della cosiddetta “British Malaise” di fine anni 70 è la nascita del movimento punk inglese, che tra l’altro, nella sua foga distruttiva, prese di mira anche i Pink Floyd, additati come vecchi dinosauri del rock il cui suono dilatato, progressivo e psichedelico era quanto di più detestabile ci fosse per il nuovo approccio “tre accordi e via”. 
[3] Da cui il nome di “Drift away blues” per l’improvvisazione blues che chiuse il concerto dei Pink Floyd di Montreal del 6 luglio 1977.
[4] Eric Fletcher Waters morì in guerra durante la battaglia di Anzio del gennaio 1944, quando il figlio Roger aveva appena quattro mesi. Waters dedicherà al padre l’ultimo album "a quattro" dei Pink Floyd “The final cut” del 1983, album che, secondo le intenzioni di Waters, avrebbe dovuto essere l'ultimo album del gruppo.
[5] La EMI fece pressione sul gruppo perché l’album venisse pubblicato prima delle vacanze di Natale dato che il 30% delle vendite annue di dischi si realizzava in quel periodo dell’anno. Per pubblicare l’album in tempo ci fu una grande corsa finale, al punto che alcune decisioni dell'ultima ora rimescolarono la scaletta delle canzoni e causarono delle incongruenze con il booklet del disco già dato alle stampe (è infatti presente nel booklet il testo di "What shall we do now", canzone eseguita dal vivo ma assente su disco per problemi di spazio e sostituita dalla più concisa "Empty spaces". Il testo di "Hey you", canzone di apertura del secondo di disco, è invece collocato erroneamente a chiusura della terza facciata).
[6] Il disco singolo di “Another brick in the wall part 2” vendette 340.000 copie in soli 5 giorni in Inghilterra.
[7] Berlino era diventata durante gli anni 70 la culla di una certa avanguardia musicale rappresentata da gruppi come i Kraftwerk e i Tangerine dream, e divenne ben presto la meta di numerosi artisti d’avanguardia come Lou Reed, Brian Eno, David Bowie e più tardi dei “nostri” Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni dei CCCP, che si conobbero a Berlino nel 1981.  
[8] Mentre in tutta l’Europa dell’Ovest la pubblicazione del disco fu appannaggio della EMI-Harvest, in Germania dell’Est fu l’Amiga Records, casa discografica ufficiale del governo della DDR, a licenziare “The wall” alla fine del 1979.
[9] Nick Mason coltivò una vera passione per le auto da corsa a partire dalla seconda metà degli anni ’70 e in un’intervista affermò: “It would have been great to have been struck with drugs or drink or something really groovy, but I got stuck on cars."

2 Commenti

  1. semplicemente: bellissimo!

  2. grazie Alberto!

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>