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Scritto da nel Internazionale, Numero 64 - 1 Novembre 2009 | 0 commenti

Unificazione tedesca: la fine del mito-Nazione

Wir sind ein Volk”. Ancora al compimento dei 15 anni della Germania unificata, nel 2005, il persistente appello della retorica ufficiale all'unità della nazione cominciava ad assumere i contorni della perentorietà. Noi siamo un solo popolo. Punto. Eppure il tema del concorso lanciato allora nelle scuole per disegnare i manifesti di questo concetto alludeva alla ricucitura di due oggetti di natura simile ma dalle caratteristiche diverse: uno spicchio di mela rossa attaccato ad uno di mela verde, un cuore legato ad un polmone, e così via. Se l'unità della Germania era impiantata sull'esistenza di un solo popolo, perché allora questo diffuso sentimento di diversità? Perché perdura l'affannosa operazione di ricucitura?

Non c'è niente di nuovo nel rappresentare la caduta del Muro di Berlino e l'unificazione tedesca come avvenimenti epocali nella storia politica Europea. Ce n'è più probabilmente nel capire i sommovimenti interni che sono scorsi sotto la costruzione dello Stato tedesco e che svelano la concreta realtà delle divisioni che tuttora lacerano la Germania e saranno determinanti nel suo futuro. In breve, un'unità politica creata nel nome del più autentico principio della appartenenza ad una comunità nazionale non ha oggi la stessa propulsione fondante del periodo di storico consolidamento degli Stati europei. Il prezzo pagato dalla Germania per la sua unificazione, ultimo colpo di coda del nazionalismo Novecentesco, è la prova che il mito della Nazione è finito. Che la legittimità popolare di un'entità politica territoriale si basa su ben altri rapporti altro che le “comunità immaginarie” nazionali.

Pochi dubbi possono sorgere sull'intensità del valore della comunità popolare germanofona come fondamento dello Stato, in particolare per i Tedeschi. Oltre il Romanticismo, basti ricordare che fino al 2004 la cittadinanza tedesca si acquisiva sulla base del principio della discendenza diretta, lo ius sanguinis. Che l'emozionante impeto di Willy Brandt nello sfidare la cappa degli equilibri diplomatici con il regime della Germania Est negli anni '70 traeva motivazione vitale dal richiamo alla comune radice tedesca, senza fare mistero di volere ricomporre quella frattura politica così innaturale. Cosa poi indusse il Cancelliere Kohl a mettere in secondo piano cruciali considerazioni economiche e sociali per giungere ad una rapida unificazione nel 1990, se non la convinzione che fosse necessario porre termine al più presto ad una separazione politica ormai ingiustificata?

Al di là del principio morale, però, tra la popolazione la stessa determinazione non sembrava condivisa, se è vero che un sondaggio del 1990 rivelò che solo il 43% dei cittadini dell'Ovest riteneva l'unificazione una buona idea, di fronte al 79% di quelli dell'Est. Non era una boutade quella dell'allora leader della SPD Oskar Lafointaine che, dando voce agli scetticismi del proprio elettorato, da coerente uomo di sinistra si preoccupava che la stabilità del sistema sociale della Germania Ovest non venisse sconvolta da un afflusso in massa di tedeschi dell'Est. Il mito del popolo unito stregava i nazionalisti più idealisti o conservatori, oltre a coloro che contavano di trarre i maggiori benefici dall'unificazione, i cittadini della Germania Est. Con riflessiva cautela, Günter Grass avvertiva che la formazione dello Stato unito doveva implicare lo sforzo di “trovare una forma come popolo che tenga ben in conto di cosa pesi su noi tutti”. La politica crea le strutture, la nazione la fa semmai la cultura. E non sempre i due processi sono paralleli.

E' impresa facile oggi constatare quanto quei dubbi fossero ragionevoli. I processi storici vissuti dal vivo bruciano molto di più di quelli immaginati e idealizzati a parole. Da una parte, i tedeschi dell'Est hanno visto il proprio mondo passato venire ridicolizzato e spazzato via con arroganza dalla superiorità dei “colonialisti” Occidentali, come questi sono stati definiti; le proprie libertà crescere bulimiche, quella politica che ha messo da parte i leader della protesta impreparati alla contesa democratica, e quella economica che permette tanto di arricchirsi quanto di fallire senza adeguate risorse materiali e culturali; il proprio entusiasmo nazionale contrarsi nella frustrazione della Ostalgie, la nostalgia della piccola e sicura Repubblica Democratica socialista. Per una Angela Merkel o un Michael Ballack che hanno ottenuto successo, ci sono altre centinaia di migliaia di tedeschi dell'Est che continuano a stazionare fuori dai Centri per l'Impiego: peggio che disoccupati, inoccupabili.

I tedeschi dell'Ovest, dal canto loro, hanno pagato caro “il prezzo dell'unità”. La locomotiva d'Europa si è accollata il secondo maxi-pagamento in quarant'anni di storia: dopo i risarcimenti ad Israele, la Germania ha versato 1.600 miliardi di Marchi dal 1991 al 1999 (anche senza conversione in Euro, tanti) verso l'Est, di cui la metà per sostenere pensioni e assegni di disoccupazione ad una popolazione presa in custodia. L'economia sociale di mercato un tempo più invidiata al mondo ha perduto sia produttività economica che giustizia sociale, preda di divari incolmati che rispecchiano l'esempio non proprio brillante dell'Italia, col suo Mezzogiorno. Con il recente incedere dell'estremismo politico di destra e di sinistra all'Est sta diventato chiaro a molti che le virtù risolutrici del liberalismo economico e politico sono almeno pari a quelle del nazionalismo in quanto colossali illusioni della mitologia Occidentale.

Sia ben chiaro: l'unificazione tedesca è stata probabilmente un passaggio obbligato per gli equilibri politici Europei e per la Germania stessa. Non fosse avvenuta, l'ex Repubblica Democratica dell'Est avrebbe comunque attraversato la stessa dolorosa transizione che ha accomunato tutti gli altri Paesi dell'Europa dell'Est. Forse nemmeno l'Unione Europea avrebbe potuto diventare adulta assumendosi un cruciale ruolo di garante e prospettiva politica futura. Poiché però nel campo delle ipotesi tutto è permesso, ci basti fissare solo l'insegnamento certo dell'esperienza: la nazione, lo 'spirito dei popoli' come motivazione ultima di ogni impresa politica è un'altra delle tante storie dell'umanità che iniziano e devono prima o poi finire.

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